INTERVISTA A BETINA LILIÁN PRENZ

Università di Trieste

Docente del Gruppo di Studio del Concorso Lingua Madre

Autrice del saggio

LM10anni_0Donne in Cammino. L’alterità che ci abita 

in “L’alteritá che ci abita – donne migranti e percorsi di cambiamento – Dieci anni del Concorso letterario nazionale Lingua Madre”, a cura di Daniela Finocchi – Edizioni SEB27

http://www.seb27.it/content/alterità-che-ci-abita

1) Il lavoro di analisi dei testi convogliato poi nel volume L’alterità che ci abita – Donne migranti e percorsi di cambiamento ha impegnato il Gruppo di Studio del Concorso Lingua Madre per oltre due anni. Com’è stata per lei questa esperienza e cosa ha significato?

Io, in realtà, sono un’infiltrata dell’ultimo momento. Voglio dire, che non ho partecipato alle discussioni del Gruppo nel corso dei due anni, ma sono venuta a conoscenza della preparazione del volume, quando le discussioni erano già giunte a termine. Ho però avuto l’opportunità di parlare con Pinuccia Corrias, in occasione della presentazione dell’Antologia Lingua Madre 2014 (io avevo partecipato in quello stesso anno al Concorso con un mio racconto, arrivando seconda classificata), la quale mi ha messo al corrente di come era nata e di come era stata gestita l’idea a partire dalla quale poi sono stati elaborati i saggi del volume. Siccome il tema della migrazione è sempre stato al centro dei miei interessi, e siccome oltre ad aver scritto un racconto sull’argomento, mi sarebbe piaciuto poter dire anche qualcosa sui racconti delle altre, mi sono offerta, un po’ avventatamente, per presentare anche io un mio contributo. I tempi erano stretti, ma Daniela Finocchi mi ha gentilmente regalato questa possibilità. Chiaramente, dandomi le direttive sulle linee guida che si erano delineate nel corso delle discussioni, facendomi leggere alcuni dei saggi e sottoponendo il mio contributo alla lettura di tutte le componenti del Gruppo.

2) Voi parlate di “lettura situata dei racconti”, cosa s’intende e in cosa si differenzia da una normale analisi dei testi?

Per me lettura situata significa una lettura fatta a partire, in primo luogo, dalla propria consapevolezza di essere donna; in secondo luogo, significa una lettura fatta a partire da sé, dal proprio vissuto, dalla proprie esperienze, e non soltanto in quanto donna, ma  nel mio caso, anche in quanto donna migrante. E’ dunque, per me, un modo di ricondurre l’analisi del testo alla concretezza della “situazione”. Questa parola, “situato”, è una parola dalla quale noi, in quanto donne, e anche in quanto uomini, non possiamo mai prescindere, perché siamo sempre essere umani situati: siamo donne e uomini in carne ed ossa, siamo delle singolarità incarnate, abbiamo un corpo, e siamo dunque esseri sessuati; siamo inoltre esseri viventi in concrete relazioni sociali, viviamo infatti in un determinato spazio, in un determinato tempo, sempre in relazione con altri/altre (di cui non possiamo fare a meno), e ci è impossibile esulare dal contesto in cui ci troviamo. Quindi, detto altrimenti, siamo le esperienze che facciamo, nella nostra peculiarità di esseri sessuati. Io ho quindi letto i racconti a partire dalla consapevolezza che il mondo è abitato da uomini e da donne e che i racconti sono stati scritti da donne: è stata la lettura di me come autrice di un racconto (donna straniera in Italia) che parla di racconti di altre autrici (donne straniere in Italia).

 3) Il suo saggio quale aspetto approfondisce e perché?

Ho voluto ripercorrere, attraverso i racconti, le tappe di quel viaggio che necessariamente sta all’origine di qualsiasi migrazione, o in cui consiste ogni migrazione (ogni vita da migrante), in una sorta di fenomenologia del viaggio, toccando i punti fondamentali che ricorrono, più o meno, nella maggior parte dei racconti, seppure vissuti, elaborati, nei modi più svariati. Ad esempio, è ovvio che all’inizio ci sia una partenza, che rappresenta un distacco originario, un abbandono, oppure ancora un tradimento; un distacco dalla propria terra, che spesso è distacco dalla propria madre, che porta in sé dolore e lacerazione, a cui segue un arrivo, a volte accompagnato da paura, a volte da un totale spaesamento, a volte dalla pura costatazione della differenza. E poi, la faticosa presa di coscienza di stare sospesi tra due mondi, la necessità di dare un qualche significato al nuovo vissuto, di adattarsi alle nuove circostanze, tra desiderio di accettazione e radicamento, da una parte, e nostalgia per il paese d’origine dall’altra. A volte il dolore del distacco originario si tramuta in felicità dell’accoglienza nel nuovo paese; a volte, il dolore persiste nel mancato riconoscimento di quello che si è da parte degli altri. Molti racconti esaminano proprio la lenta metamorfosi che la nuova arrivata sperimenta e che spesso sfocia nella sensazione di essere sì straniera nel paese in cui si arriva, ma anche di diventare straniera nel paese da cui si è partiti. Infine, una volta insediata nel nuovo paese – bene, male, dipende – il ricordo che si fa pressante, la memoria che vuole essere tradizione: la trasmissione di madre in figlia del passato affinché la costruzione della nuova identità continui ad affondare le radici, in qualche modo, nella terra che si è abbandonata.

Ecco, mi è sembrato che ripercorrere le tappe di questo viaggio, che è come andare a vedere i processi implicati nella costruzione di una nuova identità, fosse interessante per vedere come dietro delle costanti (partenza, distacco, arrivo, metamorfosi, memoria) si nascondono infiniti mondi esperenziali diversi, perché dietro alla parola “migrazione”, ci può essere l’apertura di un mondo luminoso, carico di arricchimento personale e progresso, come anche un mondo buio di dolore e frustrazione dal quale è difficile liberarsi.

Nei nostri “percorsi di cambiamento” dovremmo puntare a che la luminosità prevalga sul buio e che l’integrazione sia il punto di partenza per un arricchimento reciproco nella valorizzazione della differenza.

 4) A lei è mai capitato di sentirsi “straniera” o di identificarsi con qualcuna delle protagoniste dei racconti che ha letto? Può spiegare in che modo e perché?

Io mi sono sempre sentita straniera, mi sento straniera e credo che continuerò a sentirmi straniera, pur trovandomi a casa nei paesi in cui ho vissuto e nel paese in cui attualmente vivo. Aggiungerei, anche nel mio paese d’origine. Attraversare paesi diversi non lascia indenni e finisce per creare un modo di esistere particolare, dove estraneità e appartenenza si mescolano per dar luogo a un’identità complessa, a volte difficile da sostenere, a volte prodiga di tante piccole ricchezze. Chi si porta dentro due o più mondi è per forza diverso da chi se ne porta dentro soltanto uno. E quindi resta uno “straniero” un po’ ovunque. In quanto donna e in quanto migrante, mi sono identificata o riconosciuta in qualcosa di ognuno dei racconti che ho letto. Ma soprattutto in questo aspetto a cui ho accennato brevemente: che noi, donne migranti, siamo per l’appunto un “noi” un po’ particolare; un “noi”, che proprio perché vive due o più mondi dall’interno (quello d’origine e quello acquisito), finisce per essere esterno, in qualche modo, tanto all’uno come all’altro mondo. Quindi, “straniere”, ma, aggiungerei, per una ritrovata e più proficua appartenenza.