Dopo la presentazione del saggio “Nazionalismi”, svoltasi nella giornata di sabato 5 ottobre 2019, Andrea Pipino ripropone il tema del nazionalismo come conseguenza della caduta del regime comunista nell’Europa centro-orientale. L’89 è quindi protagonista di un appassionante dibattito che vede Pipino dialogare con il polacco Wojchieck Prziblyski, direttore del sito web Visegrad Insight, e con il ceco-slovacco Martin Milan Simecka, del giornale Dennik N.

“Ai tempi mi trovavo in una situazione in cui mi sembrava di vivere in un pianeta, quando da un’altra parte ce n’era uno che sapevo non avrei mai raggiunto. Ero figlio di un dissidente. Sapevo tutto di Vienna ma non c’ero mai stato. Poi è crollato il muro e, pochi giorni dopo, ero a Vienna” . Questo il ricordo di Martin Milan Simecka sulla crisi irreversibile del regime comunista.

“Mia madre guardava la televisione e piangeva. Prima dell’89 non si partecipava alla vita pubblica, mia madre non aveva mai visto i politici polacchi in tv. Per la prima volta si sentiva partecipe della vita politica del suo Paese.” Continua Wojchieck Prziblyski.

Martin Milan Simecka, ai tempi un dissidente, parla poi del ruolo fondamentale degli intellettuali nella resistenza al sistema. Erano stati i primi ad opporsi. Scrivendo avevano creato un mondo e una politica paralleli.

“La regione era occupata dalle armate rosse. Erano accettate. Poi erano arrivate le violenze e il governo aveva iniziato a perdere legittimità”, sostiene Wojchieck Prziblyski. La Polonia cominciò così a rivoltarsi.

Si è parlato poi della scissione in Repubblica Ceca e Slovacchia causata dal nazionalismo: la prima con una forte identità nazionale, che oggi si è sviluppata in anti-europeismo e anti-immigrazione, la seconda più realista, consapevole di non poter andare lontano. In Polonia, invece, il 1989 fa da spartiacque: il tradizionalismo esisteva ma non era così radicato. Prima, l’URSS si era impegnata in lotte intestine contro ogni forma di nazionalismo.

“Gorbachev rappresentava una falla in un sistema di cui l’unione sovietica e Mosca volevano essere i sovrani. Grazie a lui si aveva libertà di espressione e i comunisti ne erano spaventati. Senza Gorbachev i movimenti dell’89 sarebbero stati inutili”.

“Senza tedeschi e senza ebrei è giusto parlare di Europa centrale come qualcosa di unito?” chiede Andrea Pipino. Martin Milan Simecka risponde di no:“Spesso mi sento più vicino al libero pensiero di donne e uomini britannici piuttosto che ai nazionalisti polacchi”.  Wojchieck Prziblyski sostiene, infine, che il concetto di Europa centrale non esiste più nelle sue vecchie versioni, ma soltanto in un contesto di Europa unita.

Sofia Mazzaglia, Benedetta Casella