Complice l’orario, l’incanto del Borgo Medievale il sabato sera, la bellezza della natura attorno ad esso e non in ultimo il ripetuto perdersi di una delle due corrispondenti nel tentativo di giungere al luogo dell’incontro, giungiamo ad esso presto ma non presto abbastanza: non è difficile notare quanto la sala sia affollata, e continua ad arrivare gente per giunta. Non in pochi siedono a terra o sui bordi delle finestre, scomodi da morire ma pieni di buona volontà.
L’incontro di questa sera sarà interamente ispirato alle opere di Tolkien, spesso definito il padre del fantasy. Si esibirà con pezzi propri il pianista e compositore Arturo Stàlteri, che sfoggia sotto il blazer una maglietta col ritratto dell’elfo Legolas, e l’accompagna al flauto traverso Federica Torbidoni che fa le cose in grande ed indossa invece un intero, bellissimo costume blu notte, degno dei più alti lavori di sartoria elfica – ed in sala non è l’unica che sfoggia un abito “a tema”.
Le luci si spengono; nonostante il pubblico sia così numeroso il silenzio regna sovrano.
Si parte con brio, con un pezzo intitolato “Bilbo’s party“, la cui sonorità è alta e cristallina. È ritmato e fluido, non perde un attimo, i due strumenti “chiacchierano” con invidiabile naturalezza ma senza perdere un impeto che in seconda battuta darà al pezzo dei toni epici e premonitori forse dell’avventura che attende i personaggi chiamati in causa. A tratti ci sembra di percepire gli scoppi dei magnifici fuochi d’artificio che animano il compleanno di Bilbo, la gioia degli hobbit riuniti in festa è filo conduttore dell’intero brano.
Parla Stàlteri. Ha letto la trilogia di Tolkien per la prima volta da quindicenne e da quel momento la sua passione non si è mai affievolita: definisce Il Signore degli anelli un libro “da leggere in inverno”, e quest’inverno, infatti, si accingerà a rileggerli per la quinta volta.
Fino ad oggi la saga ha sempre accompagnato la sua vita, dice, non solo quella privata ma anche quella lavorativa; alle situazioni, ai luoghi e ai personaggi tolkieniani si ispira infatti molto spesso nel suo lavoro fin dai tempi del suo esordio giovanile in una band dai toni rockettari. L’influenza dell’opera di Tolkien è disseminata in alcuni suoi brani sparsi in dischi vari e in particolar modo in Rings – Il Decimo anello, disco composto nel 2003 e interamente dedicato al Signore degli Anelli.
A poche parole autobiografiche o esplicative si intervallano sempre i pezzi, ed è già il momento di presentare il secondo: “Gandalf the White“, in versione strumentale, che racconta la rinascita di Gandalf dopo il combattimento con il Balrog. Nell’incipit ricorda le Nuvole Bianche di Einaudi, il pianoforte prende toni leggermente più bassi e nettamente più melodici, il ritmo si discioglie in un suono soffuso e a tratti struggente. Il flauto dà invece al brano un che di mistico, un suono arcano che ricorda la musica popolare nordica, tradizioni fatte di streghe, magia e sortilegi: il flauto è forse la voce di un folletto lamentoso, o di una fata. Ci sono punti in cui il suono schiarisce, dà forse l’impressione della nuova vita di Gandalf il Bianco, morto e rinato; ciò che è certo è che non è senza dolore.
Il terzo pezzo s’intitola “Rivendell” (Gran Burrone) ed è ben più squillante nel suono, vivacissimo sui suoni del piano, ancora mistificante il flauto traverso che pur scendendo in alcuni punti a toni più gravi, non soffre mai il salto ma anzi gioca magistralmente sulla variazione. I toni delicati e allo stesso tempo carichi di profondità sembrano ritrarre Gran Burrone dal punto di cista di un viaggiatore che, cavalcando, vede questo luogo prendere lentamente forma davanti ai suoi occhi per poi essere sommerso dalla meraviglia e dalla magia dell’accogliente casa di Elrond.
Il pezzo si chiude con una singola e slegata nota grave, coperta dagli applausi.
Intanto, la sala si fa sempre più affollata.
Il quarto brano, “Un viaggio inaspettato“, è per piano solo, ispirato allo Hobbit e al viaggio di Bilbo che lascia la contea. Di fatto, questo brano è un’anteprima che Arturo Stàlteri ci regala: sarà inserito nel disco che il pianista sta incidendo in questi giorni ed è la prima volta che viene suonato in pubblico.
Come il brano precedente è vivido, descritto dall’autore come “molto fresco, poco celtico”, più concitato ancora nel ritmo. Apre incalzando, quasi a simulare l’andatura veloce di un Bilbo entusiasta, che allontanandosi dalla Contea vede attorno a sè un mondo nuovo e mai visto prima. Cala poi in un breve momento di lentezza, come di greve nostalgia: Bilbo sembra fermarsi a prendere fiato, a riflettere su quello che sta lasciando e che forse teme non rivedrà piú. Il brano ricomincia pronto ed incalzate, adrenalinico, ripetitivo ma in modo apprezzabile, la fine riprende l’inizio: Bilbo ha fatto la sua scelta.
Il quinto brano, “Le ultime luci di Brea“, è stato da Stàlteri molto rivisitato sin dall’anno di iniziale creazione, il lontano 1992: la versione a noi presentata è la trasposizione musicale d’un lume che va spegnendosi, è lenta e bassa e ha un suono di distinta malinconia, toni “semplici”, si può dire, che arrivato diretti al cuore è ne toccano le corde, mentre talvolta assume toni carichi di tensione, come a simulare l’ombra inquietante dei Nazgûl che rende la notte degli hobbit ancora piú oscura. Desolato è il suono del flauto, forse la voce di un Frodo Baggins che inuisce il dolorso destino che sta per sovrastarlo.
Un breve momento di dinamismo leggermente maggiore e di suono più cristallino fa pensare alla speranza dell’aurora, ma anche questi chiari suoni sono accompagnati, sempre, dai bassi dal tono cupo. Si fanno presto martellanti, li esegue il piano, il flauto dà l’impressione di un flebile lamento; infine anche questo “panico” diventa un eco, tutto torna lento, desolato quanto prima. A Brea gli hobbit hanno incontrato il ramingo Grampasso (Aragorn), loro primo alleato, ma anche i Cavalieri neri, i nemici che si troveranno a fronteggiare.
Ed é proprio ai Nazgûl che Stàlteri si ispira nella composizione del sesto pezzo. “Cavalieri Neri” è cupo ma non tetro, basso ma non spettrale. I Nazgûl, infatti, non sono antipatici all’autore, che piuttosto prova un sentimento di pena nei loro confronti. Essi erano un tempo uomini, poi corrotti dal potere dei nove anelli che li rendono spettri.
“Esuberante”, definisce il brano Stàlteri, “fa pensare ad alcuni autori russi”. Incalza, spaventa, ma in ultimo ha un suono quasi giocoso, come un nascondino finito male. Come se si giocasse a ce l’hai coi bassi. Come se i nove uomini, dopo aver lottato a lungo contro il potere letale degli anelli, fossero infine sovrastati da essi.
I trilli sono a volte argentini; il flauto sembra mimare un battito accelerato.
Il brano si chiude di netto, “in medias res”.
Il settimo brano non è farina del sacco di Stàlteri, ma un pezzo di Howard Shore, che l’autore sceglie di omaggiare. Il titolo é “Concerning Hobbits“, la melodia nota a qualunque appassionato del Signore degli Anelli: é infatti parte della colonna sonora del Signore degli Anelli, nella compagnia dell’Anello, di Peter Jackson.
Il brano si apre con acuti striduli e bassi spettrali, un suono “piovoso”. Il flauto porta un suono di quieta nostalgia, financo dolce, ed il piano poi lo segue. In un secondo momento prende toni giocosi e vivi, come quelli di una danza, un valzer che si balla tutti insieme, ma non dura a lungo: viene presto contrapposto ad un lento nostalgico e contemplativo. Il flauto qui perde il suo suono fluido, suona a stacchi talvolta, non volteggia per così dire fra una nota e l’altra, ma ancora incanta come una piccola magia. Il contrasto tra i toni dolci e quelli più lenti e nostalgici evoca da una parte la vedeggiante Contea, dall’altra la sottile eco inquietante di un destino infausto che gli hobbit e la stessa
Contea non potranno evitare.
“Questa sera siamo tutti un po’ hobbit”, afferma Stàlteri, prima di spendere qualche parola sui mezzuomini che abitano la Contea.
Gli hobbit sono “normali”, sono antieroi che si trovano in una situazione piú grande di loro e di fatto falliscono nella loro missione. Ce lo dimostra la corruzione di Frodo, che non vorrebbe lasciare andare l’Unico Anello.
La sala continua intanto ad affollarsi oltremisura e oltre ogni possibile norma di sicurezza. La gente si é accumulata anche fuori e ascolta dalle finestre spalancate. Siamo cosí tanti che pare quasi un’invasione di locuste; non mi stupirei se a fine concerto qualcuno sbucasse fuori da dentro i cassettoni o da dietro le colonne.
Il prossimo pezzo, “Éowyn“, tratto dall’album Prèludes per solo pianoforte, è dedicato, appunto, alla figura di Éowyn: troppo dolce, dice Stàlteri, per una donna che, come lei, è anche e soprattutto forte, sicura e coraggiosa (al punto di riuscire a decapitare il Signore dei Nazgûl al celebre grido di “I am no man!”).
Cerca così di dare maggior vigore, col suo suonare, alla parte centrale di un brano che è altrimenti delicato, mai troppo alto, mai troppo intenso, che ha poi una chiusura morbida quanto la sua generale sonorità.
Nonostante la morbidezza dei toni, il brano coglie alla perfezione il carattere complesso del personaggio di Éowyn, che si mostra dolce ma è capace di mostrare, al momento opportuno, un ardore e una forza d’animo senza alcun paragone.
Ascoltiamo, poi, “Théoden e i ricordi“: “un po’ ossessivo, molto minimale”, lo definisce Stàlteri, e come da tradizione minimalista fa largo uso della ripetizione di frasi musicali. Vuole infatti mettere in musica il conflitto interiore di Théoden, un tempo nobile e amato re di Rohan, poi a lungo ingannato e corrotto dal perfido Vermilinguo.
Ne viene fuori un pezzo martellante e tormentato, soprattutto per quanto riguarda la parte del piano. Il flauto è un lamento, il piano un’anima inquieta, più che un dialogo appare una lotta.
Scopriamo un Théoden che volge la mente al passato, rappresentato dalla melodia più lenta del flauto, mentre il presente sembra travolgerlo e dominarlo, come il piano all’inizio del brano sovrasta il flebile suono del flauto.
Lentamente, però, quest’ultimo si rafforza ed emerge, scalzando i cupi bassi del pianoforte una volta per tutte.
Sul finale, una ripresa dal tono epico, forte, intenso.
Théoden è rinato.
Il brano dedicato a Galadriel s’intitola “Verso Lòrien“, e dà l’impressione di una visione, come se chi ascolta potesse sporgersi ad osservare lo specchio di Galadriel, che mostra il passato, il presente e il futuro. Esso, però, rappresenta un avvenire non immutabile, destinato a cambiare; un suono lontano, visto attraverso una sottile e persistente nebbia, un futuro mai raggiunto e vago.
Il flauto in questo brano ha un ruolo di rilievo, come a rappresentare il monologo interiore della Dama di Lòrien, il fluire incessante dei suoi pensieri. Il pianoforte sembra replicare al flauto con toni più bassi e profondi: Galadriel è un personaggio ben consapevole delle proprie aspirazioni, ma anche capace di porre ad esse un freno quando queste risulterebbero distruttive.
Il brano tocca picchi a tratti più vitali, perlopiù è lento, non perde mai questo senso di distanza breve ma incolmabile, che anche nell’opera di Tolkien circonda la figura della Dama di Lorien.
Gli ultimi due pezzi, eseguiti uno dopo l’altro, sono il primo di Bo Hansson, “The Old Forest“, ed il secondo di Stàlteri, “The Ride of the Rohirrim“.
Il primo è un omaggio all’ammirato Bo Hansson, autore dell’album “Music Inspired by Lord of the Rings“; il brano racconta il momento in cui gli hobbit sono vittima degli Spettri dei Tumuli, prima di essere salvati da Tom Bombadil. Parte in basso con senso di mistero, ma diventa subito alto e incalzante, fa aumentare i battiti anche se il suono è cristallino. Gli acuti sono striduli come grida, ricordano voci di paura scambiate in una situazione di pericolo.
Il secondo ha una partenza scatenata, un suono forte, epico e glorioso, simile ad un discorso di esortazione rivolto ai soldati che si stanno recando in battaglia. Poi, emerge un piano ritmato e forte che sembra galoppare, accompagnato dalla voce acuta di un flauto cristallino, coraggioso e instancabile.
La flautista si muove come se danzasse.
L’esibizione è finita, ma non gli applausi, che sembrano rimbombare e moltiplicarsi in sala.
Riusciamo infine a fare qualche domanda ad Arturo Stàlteri e Federica Torbidoni, nonostante la folla di curiosi che aspetta di scambiare con loro due chiacchiere.
Domanda spontanea per Stàltieri sono riguarda i suoi compositori preferiti: sono Chopin e Keith Richards, Bach. Poi i minimalisti, i Sigur Ros e di italiano solo Cacciapaglia.
Poi viene la domanda obbligatoria (e secca, fin troppo) sul Signore degli Anelli: momento preferito?
E’ difficile sceglierne uno solo, ovviamente, ma esprime una preferenza per le scena nelle miniere di Moria, in particolare l’epico duello tra Gandalf e il Balrog con l’impatto che la perdita dello stregone ha sulla compagnia dell’Anello. Poi, il finale e la tragica corruzione di Frodo, ormai logorato dal potere dell’Anello; Sam – dice – è l’unico personaggio interamente positivo della saga, è lui il vero eroe.
Concordiamo infine sulla profondità del messaggio delle opere di Tolkien, che sono molto di più di semplici libri fantasy.
A Federica Torbidoni facciamo prima di tutto sinceri complimenti per l’abito a tema: ci rivela che è stata proprio lei a farlo realizzare in modo che non risultasse scomodo per suonare il flauto traverso, anche se così si discosta leggermente da quelli elfici. Grande appassionata dell’opera di Tolkien è riuscita a fondere ad essa un’altra sua passione, cioè la musica e in particolare il flauto traverso.
Poi le domandiamo quale sia il suo genere musicale preferito e lei ci risponde che ha una passione per la musica classica in generale, dal Barocco al minimalismo, basta sia adatto per il flauto traverso.
Torniamo a casa con la consapevolezza che è possibile trovare un punto di incontro tra due mondi diversi tra loro come la musica e l’opera tolkieniana.
La parola chiave perchè questo incontro avvenga è una sola: passione.
Bianca Martinetto
Bianca Cergioli
Liceo classico Gioberti
P.S.: Una delle due Bianche è appassionata di musica, l’altra di Tolkien; da qui le descrizioni strane e dissonanti dei favolosi brani di Arturo Stàlteri.
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