Via Luigi Ornato 10, libreria Borgopò: in un’oasi di pittoresca e raffinata leggiadria, alle pendici della collina torinese, un’intensa e penetrante fragranza di gelsomino sembra riflettere alla perfezione l’indole acuminata e al tempo stesso delicatissima delle pagine di Miriam Toews. Non a caso, proprio quest’ultima si è confrontata con alcuni lettori in una cornice di tale sincerità e naturalezza. E’ dunque immediato, in un clima così piacevolmente disteso, sentirsi partecipi di una straordinaria continuità in cui odori, immagini e sensazioni di ogni tipo si rincorrono, aggrovigliandosi in un’ora e mezza circa di sottile umorismo, accuratamente bilanciato da una profondità psicologica non indifferente.

Le prime battute dell’incontro sono dedicate alle vicissitudini editoriali legate al terzo romanzo dell’autrice, dal titolo “Un complicato atto d’amore”, tradotto e distribuito su larga scala. Senza troppi indugi, la discussione si sposta su lidi più pregnanti e significativi, quelli inerenti alla caratterizzazione biobibliografica della scrittrice canadese. La sua attività culturale consta fondamentalmente di due elementi cardine. Innanzitutto, il fulcro tematico dei suoi lavori risiede nell’analisi di svariate dinamiche interne all’ambito familiare, le quali non possono tuttavia essere lette ignorando l’appartenenza dell’autrice alla Chiesa Mennonitica. E’ ancor più opportuno ricordare che quest’ultimo è un modello da cui la Toews ha preso più volte le distanze all’interno dei propri romanzi, dissociandosi così dalla rigida osservanza di precetti morali che le erano stati imposti in età adolescenziale. A detta dell’autrice, l’abbandono della comunità religiosa della sua cittadina natale, Steinbach, a vantaggio di un’esistenza con minori restrizioni, ha comportato per lei l’inedita possibilità di fronteggiare apertamente le problematiche del nostro tempo.

I personaggi delle sue opere rappresentano spesso e volentieri una proiezione della sua esperienza autobiografica e lasciano trasparire il senso di responsabilità e dolore di una dimensione domestica alterata e squassata prima dal maniacale controllo dei costumi e poi dalla più sfrontata insubordinazione. A tal proposito, è del tutto singolare il significato intimo di cui si carica la musica, un tema ricorrente nei romanzi dell’autrice e a lei molto caro; per sua stessa ammissione, essa ha costituito per molti anni una delle sue maggiori proibizioni. In quest’ottica, l’ascendente esercitato dalla sorella pianista è stato cruciale nello stimolare la sua curiosità anche verso generi musicali non tollerati dalla sua minoranza, quali il rock’n roll.

L’autrice confessa con genuina sincerità il crescente nervosismo, che ha sperimentato sulla propria pelle nei mesi precedenti alla pubblicazione, dettato dal timore nei confronti sia dell’ opinione del grande pubblico verso la sua comunità di appartenenza, sia di quella dei membri della sua Chiesa. Miriam non nasconde di aver chiesto l’aiuto e il consiglio di sua sorella la quale l’ha esortata a non mollare ciò che aveva realizzato e a dire le cose proprio come erano. Dunque, nonostante alcune critiche ricevute, ancora oggi non si dice pentita della sua coraggiosa scelta e, ai suoi detrattori, ricorda che la sua denuncia è rivolta unicamente contro le convenzioni comportamentali dettate dal culto specifico, dunque non contro chi vi aderisce.

“Per fortuna la gente della mia comunità che mi ha criticata è pacifista” conclude con sagace ironia la scrittrice canadese, suscitando ilarità tra il  nutrito gruppo dei presenti.

                                                                                      Alessandro Tassini e Matteo Zangheri, Liceo classico-musicale Cavour