Cecilia Robustelli e Francesca Dragotto riescono a destreggiarsi in un dialogo appassionante sull’uso del genere femminile nella lingua italiana.
Per Cecilia il linguaggio è una «scatola di montaggio», quindi non può essere né femminista né maschilista. Siamo noi a costruirlo, dice, e a determinarne le connotazioni, eventualmente sessiste.
Per dimostrare questo, porta a esempio alcune pubblicità il cui slogan contiene forti doppi sensi a sfondo sessuale. Con tono tra l’ironico e l’indignato ci racconta di commesse “caldamente invitate” a indossare una spilla sul seno riportante la frase “AVERLA E’ FACILE, CHIEDIMI COME”… ovviamente riferito alla merce. Naturalmente questo non è l’unico caso in cui i creativi piegano la lingua a giochi di parole dove il richiamo erotico implicito dovrebbe invogliare all’acquisto; in questo modo prova come i media siano fortemente responsabili del maschilismo nell’italiano. Cecilia continua citando Nadia Urbinati, filosofa italiana, e dice “ Non si riesce a capire come una società possa permettersi il lusso di non valorizzare le risorse femminili”. Si chiede come mai il genere femminile sia così malamente rappresentato quando gli strumenti per descriverlo al meglio li abbiamo tutti. E aggiungiamo noi, a chi gliene viene qualcosa di denigrare le donne?
Francesca completa l’argomentazione delineando un quadro storico dell’evoluzione linguistica, partendo dall’Indoeuropeo fino a arrivare ai giorni nostri. Si concentra a sottolineare che, poiché il genere è un’idea volta alla classificazione del reale, allora la lingua non è sessista. Spiega come l’uomo non sia nato con la necessità di differenziare i generi, ma come nel tempo la lingua si sia evoluta fino a dare vita a una distinzione tra animato e inanimato, arrivando al punto di distinguere, nell’ambito dell’animato, femminile e maschile.
Parla di una lingua, come quella giapponese, in cui, pur non essendoci generi, esiste un registro di utilizzo esclusivamente maschile e uno esclusivamente femminile. Il genere è un’idea, e una volta che trova accoglienza nella lingua può generare ideologie di stampo sessista, perciò è necessario prendere coscienza del peso delle parole e dell’uso che ne facciamo, per evitare di cadere nel degrado di una società misogina.
In conclusione la discriminazione si serve della lingua, ma non dipende da essa.
Maddalena Andreoli
Ludovica Barbieri
Liceo “L. Ariosto”, Ferrara
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