Marino SinibaldiPresa la parola Oliva, preside dei licei D’Azeglio e Cavour, ricorda di come lui e i suoi coetanei, siano cresciuti con i racconti e le testimonianze della generazione che aveva vissuto in prima persona quanto successo al tempo di Auschwitz. Racconta inizialmente del sentimento che animava la generazione del primo dopo guerra e la generazione di cui egli stesso fa parte; entrambe si sono sempre sentite parte della storia stessa, attraverso i racconti di guerra, di prigionia, di discriminazione sentiti tante volte dalle bocche di quegli stessi uomini che anni prima erano stati vittime innocenti della crudeltà raziale. Tutti alla fine avevano un parente, un genitore che aveva vissuto quel periodo e che poteva esserne testimone.

Ma il problema è che le nuove generazioni crescono senza queste memorie, raccontate a mezza voce, reprimendo quelle lacrime di rabbia, di dolore; lacrime di uomini la cui memoria era stata marchiata per sempre.

Ed è dunque qui che subentra la scuola, non solo con lo scopo di ricordare, ma facendo capire quello che è successo, facendo venire fuori i sentimenti che c’erano allora, soprattutto con il fine di sottolineare dove questi avvenimenti siano successi. Tutto è infatti nato in Germania, uno dei paesi con il maggior livello d’istruzione, che aveva formato le menti più geniali e in una delle società più sviluppate, patria di grandi uomini come Brecht e Albert Einstein.

Nonostante ciò, lì si è sviluppata ed è stata accettata, se non addirittura condivisa, da tutti l’idea dei campi di concentramento, perché alla fine questi non erano pochi e si potevano trovare in tutti la Germania. È del tutto irreale pensare che potessero esistere ignari o mal informati riguardo il clima anti-semita in cui la Germania e l’Europa intera si trovavano.

La scuola diviene dunque il luogo in cui le idee nascono, gli uomini diventano uomini e le menti vengono plasmate nel corso del tempo.

Il ruolo della scuola è quello di ricordare quali sono stati i meccanismi che hanno reso possibile tutto questo, ovvero non solo meccanismi di odio, come si continua unicamente a ripetere.

Non bisogna soffermarsi sui mezzi, come i campi di concentramento, ma sui pensieri che hanno portato a ciò, che si sono mossi per arrivare a compiere queste azioni, pensieri che esistono tuttora e che si possono muovere anche adesso. Il ruolo della scuola è quello di fermate queste idee, questi pensieri; e ricordare… ricordare così che nulla di tutto ciò possa ripetersi, mai più.

Carola Boschetto  & Camilla Brumat

Redazione Alfieri