In occasione della presentazione del libro A Chloe, per le ragioni sbagliate, il Palazzo Montereale Mantica ospita due giovani scrittrici e un argomento difficile.
Claudia Durastanti, autrice del libro in questione, viene accompagnata da Veronica Raimo – giornalista, traduttrice e collaboratrice di una rivista del calibro di “Rolling Stone – in un percorso sul dolore in termini molto diversi dal solito.
Come si può descrivere la fragilità? I giovani danno forse troppa importanza all’estetica della sofferenza, con il rischio di arrivare ad una visione narcisistica e idealistica di questa?
La Durastanti stessa spiega come, a differenza del suo libro d’esordio, Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra, incentrato sulla “bellezza di chi cade”, questa sua seconda opera si focalizzi di più sulla fase successiva alla caduta: il rialzarsi.
Il tema è quindi la gestione del dolore, con cui la protagonista del libro si ritrova a fare i conti durante tutta la sua vita, fino ad arrivare ad una guarigione che teme anche per la paura di “guarire male”, senza originalità.
Come dice lei stessa, “quanta notizia vuoi che faccia una bomba disinnescata?” Una sofferenza poco originale, non abbastanza unica, perde valore? Persino avere la propria fragilità descritta da altri, magari con termini tecnici, le fa perdere importanza?
I giovani “cercano di soffrire nel modo più bello possibile”, con il rischio di contribuire loro stessi alle condizioni di disagio che si creano. Qual è la soluzione, allora?
Cercare di evitare il “controllo costante del modo in cui uno cerca di rappresentarsi”, il determinismo. Per arrivare ad una “felicità sbilenca”, senza bisogno di troppe descrizioni, che unica o meno ci vada bene così.
Ilaria Pirchio
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