In coincidenza con la celebrazione della giornata internazionale della donna si è aperta la 20.a edizione di Dedica 2014, con l’incontro al Teatro “Verdi” di Pordenone assieme all’autore, Tahar Ben Jelloun , Anna Maria Manfredelli, vicepresidente di Thesis, e il saggista e giornalista F. Gambaro.
“Perché la scelta di scrivere in francese e non in arabo?”. La domanda fa sorridere l’autore, perché viene spesso rivolta, a suo parere a scrittori arabi o marocchini, ma non ad altri che come lui hanno scelto di scrivere in una lingua diversa da quella materna. “Nabokov, Kundera, Kafka hanno scritto in francese, ma nessuno ha mai chiesto loro il motivo …..io personalmente ho scelto il francese per due motivi: in questo modo potevo sottrarre le mie scritture e le mie letture a mio padre, che non conosceva il francese; e in secondo luogo per scoprire altre opere diverse da quelle con cui entravo in contatto con la scuola che frequentavo e per viaggiare in altre culture”.
Diventa d’obbligo chiedere cos’è per lui la lingua francese. “La lingua, ogni lingua, appartiene all’umanità, e non ha frontiere. Non è una dogana, dove si devono documentare le nazionalità, ma uno strumento che permette di esprimere l’universo che noi rappresentiamo sentendoci parte di una nazione.”
Tahar Ben Jelloun si è reso portavoce della cultura magrebina pur non utilizzando la lingua madre, in quanto la maggior parte dei francesi e delle altre nazioni considerano il Maghreb e il mondo arabo solo come riflesso delle azioni negative condotte da gruppi fondamentalisti e terroristici che fanno percepire il mondo arabo e islamico come esclusivamente “cattivo” e di cui aver paura. “Islamofobia” è il termine usato dallo scrittore per identificare questo atteggiamento del mondo occidentale, che lui vorrebbe poter cancellare con una migliore conoscenza del mondo da cui lui proviene. Egli è ben consapevole della difficoltà di questa impresa:“Se davvero con la letteratura , scrivendo si potesse cambiare il mondo, sarebbe tutto più semplice” .
“Possedere due culture, pur non padroneggiandole entrambe allo stesso modo, è formidabile; le culture sono materie vive, che possono entrare in conflitto, come in una relazione amorosa. Per andare d’accordo, è necessario non imporre, ma proporre la curiosità e la conoscenza reciproca insegnando la tolleranza e l’accoglienza.” Si passa quindi al più ampio tema del razzismo, che ha dominato parte della sua produzione, basti qui ricordare “Il razzismo spiegato a mia figlia”.
Provocatoriamente Tahar Ben Jelloun afferma che si è razzisti più che verso il diverso , verso il più povero: eliminare la povertà – ma come?- potrebbe essere un metodo per mitigare le spinte razziste. Ma cosa lo ha spinto a diventare scrittore? La risposta conferma, in un certo senso, il valore consolatorio della scrittura: “Per scrivere bisogna conoscere, e per conoscere bisogna leggere tanto…io in carcere ho avuto tempo per leggere, conoscere e scrivere.” “Le idee non possono mai cadere dal cielo come stelle, non esiste l’ispirazione fine a sé stessa, ma solo il lavoro e la disciplina che mi mettono di fronte alla pagina bianca con una penna pronta a cogliere tutte le sfumature del mondo”.
Un caloroso applauso ha sottolineato l’inizio del dialogo con il pubblico; tra i tanti interventi ci ha particolarmente colpito quello di una nostra coetanea che chiedeva allo scrittore un consiglio da dare ai giovani che sempre più spesso racchiudono il loro mondo in uno schermo, sia quello televisivo o del proprio tablet. “Diffidare da chi dà consigli, da tutto quello che luccica e …..leggere, leggere, leggere”.
Battistella E. – Modonutti M. Liceo Grigoletti di Pordenone
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