Una famiglia “normale”. Un uomo “normale”. Una donna “normale”. Eppure in questa normalità dilaga una violenza estrema.

124. Questo è il numero dei casi di femminicidio nel 2012, casi di donne brutalmente ammazzate dal loro marito, dal loro partner o dal loro ex. La maggior parte di questi delitti avviene tra le mura domestiche, in quel luogo in cui ognuno di noi dovrebbe sentirsi sicuro e protetto, ma che per molte donne è diventato l’inferno. Questi atti non sono isolati, sono l’espressione costante di un comportamento maschilista volto a mantenere la donna in una posizione di subordinazione, perché molto spesso vengono trattate come oggetti di proprietà.

Nel 2012 l’84% delle violenze è avvenuto all’interno di una relazione sentimentale, un dato sconvolgente in cui alla parola abuso si associa il volto dei propri compagni. Per alcuni è un problema di possesso, per altri l’incapacità di accettare l’indipendenza o l’allontanamento della propria donna,o la difficoltà di rassegnarsi alla fine della relazione. E l’unica reazione di questi uomini è la violenza.

È forte la necessità di uscire da quella serie di pregiudizi che vedono la violenza di genere legata a contesti socio-culturali arretrati e disagiati, poiché secondo i dati annuali del rapporto “Le voci della violenza” di Telefono Rosa, il 65% dei carnefici possiede un titolo di studio elevato. Persone ben istruite, non persone ignoranti o con una mentalità retrograda.

Non esiste “l’identikit dell’uomo violento”, qualunque sia la sua istruzione, il suo reddito o la sua professione, ogni uomo può costituire un potenziale carnefice, capace di violenze inaudite nei confronti della donna che dice di amare. Ma questo non è amore. Amore significa rispetto. E di certo questi uomini non hanno rispettato la loro compagna. L’amore con la violenza e con le botte non c’entra niente.

Antonella, Cristina, Sharna, Vanessa, Carmela, Alessandra, Stefania. Questi sono alcuni dei nomi di quelle 124 vittime. Dall’inizio del 2013, altre 57 donne sono state uccise. Ma la giustizia italiana è una giustizia lenta, che molte volte non funziona, a causa di lentezze amministrative che portano 3 donne su 10 a ritirare le loro denunce. Mancano fondi, politiche e strutture adeguate, infatti in Italia ci sono 127 centri antiviolenza, con 500 posti letto. Secondo le raccomandazioni della U.E. ne servirebbero 5.700, perché nell’ultimo anno più di trentamila donne hanno chiesto aiuto a questi centri.

Sono numeri allarmanti, numeri che dovrebbero far riflettere tutti noi, perché il femminicidio è un fenomeno in crescita ed è arrivato il momento di dire BASTA. Perché ogni donna merita di vivere la propria vita accanto al suo compagno nella felicità, non nella paura.

Valentina Govoni, Liceo Classico L. Ariosto, Ferrara