Male, come prendere i colori e farne i gradini della scala sociale, e stabilire che c’è chi sta in cima e chi in fondo alle scale.

Male, come un amico che ti tradisce. Come il suo sguardo vile.

Male come il tempo di Max in Il colore della libertà, di Yaël Hassan

 

Max decide di camminare a testa alta, e di ignorare gli sguardi, le prese in giro.

È consapevole che ormai sarà costantemente solo, che se vuole sopportare quello che l’aspetta dovrà separarsi dagli altri. Tuttavia spera ancora che non tutti gli voltino le spalle. Specialmente Frank, il suo amico di sempre.

Ma la sua speranza ha vita breve. Un gruppo di liceali lo sorpassa. Ridono. Finge di non sentirli. La maggior parte è in blu, altri sono in verde, quelli bravi,e  alcuni perfino in rosso, i migliori.

Il rosso, il suo colore di prima, il colore giusto.

Qualcuno lo urta.

«I marroni devono camminare rasente i muri!» gli sputa in faccia Florent, uno dei suoi compagni di scuola dell’anno scorso.

Nel gruppo degli sbeffeggiatori c’è anche Franck, il quale lo guarda imbarazzato. E comunque lascia fare, lascia dire e si allontana con gli altri, lanciando però a Max uno sguardo insistente. Uno sguardo dispiaciuto? Si chiede Max che vorrebbe tanto poterci credere. Ma si riprende. No, è uno sguardo sfuggente, da vile. Uno sguardo di cui lui non sa che farsene.

 

Il colore della libertà, di Yaël Hassan, Lapis,  p. 21-22