La storia di Bianca: una storia di diversità.
Bianca non parla, ma vede cose che gli altri non vedono, quando i sorrisi dicono bugie e quando gli occhi parlano anche se la bocca riposa.
Bianca non sente ma vede i suoni, quelli attorcigliati come la coda di un maialino, quelli lisci e lenti delle mani tra i capelli.
Bianca non sente e non parla ma le sue mani sono farfalle che danzano nell’aria.
Si apre con queste parole, prese dal libro, l’incontro con Chiara Lorenzoni, tra un pubblico composto da piccolissimi e da ragazzi più grandi che,
come Bianca, hanno un modo differente di comunicare. Ma diverso non significa emarginato o escluso. Infatti saltano subito all’occhio la vitalità di questi ragazzi e la semplicità e la normalità con cui vivono la loro situazione.
Ed è proprio la diversità tra questi ragazzi e i più piccoli che, a un certo punto, darà vita a una sorta di gioco che riuscirà a coinvolgere tutto il pubblico: i ragazzi si esprimono col linguaggio dei segni e il pubblico dei più piccoli, con grande attenzione, cerca di imparare e ricordare i significati dei vari gesti mostrati.
Viene poi spiegata l’importanza che hanno per i ragazzi i nomi-segno, ossia i loro soprannomi nella lingua dei segni, che spesso mettono in evidenza caratteristiche tipiche di ognuno di loro.
Una volta finito questo “gioco” di segno e risposta, è iniziata la parte artistica dell’incontro, dove tutti si sono sbizzarriti nel creare disegni fantasiosi utilizzando come unico pennello le proprie mani.
Alessandra D’Agostino, Scuola Peyron
Alessandro Caruso, Majorana di Moncalieri
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