Carla Ida Salviati  direttore fino al 2014 de “La Vita Scolastica”, “Sesamo didattica interculturale”, “Scuola dell’infanzia” e le collaterali riviste online per Giunti Scuola. Suoi settori di studio e di ricerca sono la letteratura giovanile e la storia dell’editoria, con particolare attenzione per quella educativa. Sarà tra i nostri ospiti dell’evento organizzato al Salone del Libro in Arena Bookstock il 14 maggio 2015, attorno  cui ruota, insieme alla petizione di Torino ReteLibri, il nostro progetto #labuonalettura. La ringraziamo molto perchè ha scritto per noi un pezzo davvero chiaro ed incisivo e che arriva diretto al cuore del problema.

Ormai è una vita che, se capita l’occasione, la gente mi chiede come mai non abbiamo biblioteche scolastiche o, se le abbiamo, sono malconce e boccheggianti. Vi direi che mi sono stufata di ripetere, come fanno i vecchioni, sempre le stesse cose, diventando noiosa e vecchiona. Però mi accorgo che c’è sempre qualcuno (anzi: parecchi, come diceva Jannacci) che  cade dalle nuvole. Allora provo a riassumere come vedo io la cosa, dopo decenni (ahimé) di impegno in questo campo.

Prima ancora che una storia culturale, la triste vicenda delle biblioteche scolastiche è una questione  di cattiva amministrazione: la quale, si badi, non è solo quella di cui si occupano i magistrati mettendo  le manette (tentando, in verità) a funzionari disonesti. E’ cattiva amministrazione anche l’ignoranza (in senso stretto e  lato) di quanto si è stratificato nel passato e di quello che ha fatto, nel bene e nel male, chi ci ha preceduto. La prima volta che andai, ragazzetta, a Parigi, partecipai ad una visita in gruppo alla metropolitana: la guida ci spiegò quanta progettualità c’era fin dal primo scavo, quanto lavoro, quanta voglia di “andare avanti” quando l’impresa passava il testimone. Ci disse con malcelato orgoglio che tutti i sindaci, di qualunque colore politico fossero, hanno preso il progetto da dove l’hanno trovato, l’hanno ben studiato, talvolta l’hanno modificato: ma tutti (tutti!) sono andati avanti.

Da noi usa il contrario. E la storia d’Italia è piena di progetti ideati, avviati, dimenticati, abbandonati: in tutti i campi. Chi va ad amministrare, cioè va a fare scelte politiche, arriva con poche idee, qualche chiodo fisso, due o tre amici che diventano consiglieri speciali: e partono in accelerazione con le loro novità, ignorando in modo più o meno totale quanto il/i predecessori hanno pensato. Magari sbagliando, per carità, come è lecito e umano.

Non c’è spreco più grande di questo. Uno spreco a grande scala se si parla di potere politico; ma anche a piccola scala, se guardiamo alle nostre singole scuole: un preside che cambia, un docente che va in pensione, un amministrativo che si sposta di sede fanno cadere rapidamente nell’oblio quanto – spesso con impegno personale e tra molte difficoltà – è stato messo in piedi. Le biblioteche scolastiche sono un caso  eclatante di palese dissipazione di risorse, di energie, di pensiero.

L’amarezza diventa ancora più grande se riflettiamo su quanto sia povera la scuola italiana, quasi un ministero senza portafoglio, visto che il bilancio è composto per la quasi totalità solo dagli stipendi dei dipendenti. Ciò nonostante, sulle biblioteche scolastiche che sono ridotte al punto da promuovere una petizione per chiedere il diritto di esistere, si è riusciti persino a sprecare.

Lo si è fatto in mille modi.  Si è sprecato, tanto per cominciare, non portando avanti quelle due o tre idee che avevano fatto sperare in un colpo di reni ai tempi del ministero Berlinguer (ma potrei andare indietro nel tempo e raccontare quanti sprechi antichi possiamo annoverare: ve li risparmio). Chi è venuto dopo non ha fatto altro che acuire la sterile contrapposizione tra carta e digitale, e ha speso i pochi quattrini disponibili su piani di alfabetizzazione alle tecnologie ben presto obsoleti, vere e proprie imbiancature a stucco su pareti in rovina. Il mito dell’autonomia, poi, ha fatto il resto nelle singole scuole che (paradossalmente) invece di aggregarsi, di mettersi in rete, di confrontarsi con il privato (la parolaccia!), sono diventate monadi, avvitate attorno il proprio ombelico. Ricordo che durante un convegno in cui elencai molte delle tantissime carenze rispetto alle politiche della lettura nella scuola, una gentile signora  allora Sottosegretario di Stato rispose che la questione non riguardava il ministero ma le scuole che “nell’esercizio dell’autonomia possono…” ecc ecc, insomma la solita pappardella.

Se poi la crisi ha chiuso le erogazioni dal centro, non è detto che non si potesse proprio  fare più niente. Al contrario, la crisi poteva far nascere buone idee (e infatti alcuni se le son fatte venire: ma è tipico delle gestioni sprecone non diffondere, non portare a regime, non fare di un caso positivo un modello da seguire). Ad esempio, si poteva imparare a “comprare meglio”, mettendosi in consorzio con altre scuole, lavorando con le librerie e, dove esistenti, con le biblioteche pubbliche.  Molte scuole hanno imparato a farlo, ma è certo più complicata la concertazione che  andare dal cartolibrario di quartiere: so  di liste di acquisti finanziati da lotterie o da donazioni di genitori- faticosamente e appassionatamente organizzate – che avrebbero potuto “strappare” sconti significativi se fatti in cooperazione… Invece, ognun per sé, e i risultati si vedono.

Si sono sprecate anche occasioni preziose per mancanza d’informazione, per sordità, per miopia.  So di un libraio che proponeva mostre-mercato nelle scuole ricevendo il no secco di un gruppo di genitori che vedeva in questa iniziativa uno scavalcamento dei doveri del ministero… So di una catena di librerie che ripete per il terzo anno l’esperienza nel mese di agosto del regalo alla biblioteca di una scuola da parte dei clienti, raccogliendo  così centinaia di migliaia di libri: e so di scuole che non vanno  neppure a ritirare i “pacchi”… So di un Sottosegretario (maschio, stavolta) che, davanti ad un documento di insegnanti che suggeriva concrete azioni senza oneri a favore delle biblioteche in bilico,  ha  candidamente dichiarato che oggi tutti leggono i tablet e che non ci sarebbe  “interesse politico” a muoversi per libri e lettura…  Beh, almeno sincero, ancorché ignorante.

Carla Ida Salviati