Oggi abbiamo assistito all’incontro tenuto dal celebre critico d’arte Philippe Daverio, che ha presentato il suo ultimo libro, intitolato “Il secolo spezzato delle avanguardie”. L’autore ha esordito spiegando il perché di questo titolo, riferito all’epoca storica del secolo XX, caratterizzato da avvenimenti importanti e catastrofici come le due guerre mondiali, ma anche da movimentati fermenti artistici che, nati nella prima metà del secolo, hanno condizionato il corso della storia per sempre. In questo ambito si collocano le avanguardie che, così come le intendiamo oggi, vanno collocate in quell’arco di tempo che intercorre tra due “lampi”: quello dell’esposizione universale di Parigi del 1889 e l’altro, sicuramente più clamoroso e sconvolgente, dei lanci delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Le origini del termine vanno però ricercate in epoca precedente, in particolare analizzando le due figure storiche di Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte. Il primo aveva già definito di avanguardia i gruppi che venivano mandati a perlustrare il territorio per scoprire il posizionamento degli accampamenti gallici. Il secondo invece con questo termine definiva quelle persone che avevano un’idea su qualche argomento difesa strenuamente senza intenzione di abbandonarla. Collocando il concetto di avanguardia nello spazio, i due luoghi di nascita e sviluppo dell’avanguardia, secondo il critico, sarebbero stati Firenze e Parigi. In queste due città infatti, nella seconda metà del ‘800, ha preso piede il pensiero che l’arte dovesse essere sciolta dai legami con la società e dovesse rimanere estranea e ben distinta da tutto ciò. Ed è proprio questa la caratteristica principale delle avanguardie, caratteristica che, anche per colpa dell’eccessiva burocratizzazione della cultura e delle eccessive ingerenze americane sul panorama artistico europeo, si sono sempre più perse e affievolite dalla seconda metà del secolo.

Matteo Pecoraro, Giovanni Sarti