Seguire un incontro con due grandi autori è un’esperienza coinvolgente e quasi catartica: si entra riposati e curiosi, si esce sfiancati e satolli di nuovi punti di vista e opinioni. C’è così tanto da introiettare che non si sa da che parte girarsi, su chi tenere lo sguardo fisso, tentando di non perdere nemmeno una briciola di un dibattito tanto ricco di contenuti.

Antonio Scurati e Emmanuel Carrère hanno senza dubbio monopolizzato l’attenzione e l’interesse della folla brulicante raccoltasi nella sala Gialla del Salone del Libro, nonostante l’ora difficile: le 13.30 di un caldo sabato di Maggio.

L’incontro è stato organizzato in occasione del conferimento del premio letterario internazionale “Mondello”, al suo 41esimo anno di vita, rinnovatosi da ormai 4 anni in una nuova formula, che è stata giudicata da Gianni Puglisi, presidente del Premio, molto efficace e soddisfacente: il vincitore del premio è incaricato di scegliere il suo “maestro”, chi, cioè, è stato fonte di ispirazione, la sua Musa personale.

Emmanuel Carrère, scrittore e sceneggiatore francese, è risultato essere la scelta finale di Scurati. Perché è la domanda che sorge spontanea. A detta dello scrittore italiano egli è la personalità in grado di cogliere la società attuale e raccontare la crisi dell’io.

Viviamo infatti in un contesto dove la loquacità di massa fa da padrona, tutti si sento autorizzati ad esprimere la propria opinione, spesso senza avere nulla di costruttivo da dire e senza utilizzare le modalità adeguate per farlo. Si sconfina così in una dittatura dell’individualismo, composta da miliardi di adulatori di se stessi, culto vuoto e non prolifico. Lo scrittore francese, sensibile a tale realtà la tratta nelle sue opere utilizzando un espediente letterario particolare, definito dal suo “allievo” italiano litotico: per affermare la centralità del problema lo nega completamente, descrivendosi come il più assoluto rappresentate della cultura dell’io. Interessante anche la scelta di mischiare insieme sacro e profano, come avviene nel “Regno”. Nel libro viene infatti  affrontato con occhio critico e quasi “scientifico” il difficile tema della religione, attraverso un’accurata analisi dei vangeli di Luca e Giovanni, definiti antichi romanzieri, ma insieme coesistono descrizioni di scene di erotismo femminile. Alle critiche ricevute Carrère ha ribattuto affermando di considerarsi capace di scrivere perché ha un grande rispetto per l’esperienza, vista come punto di partenza fondamentale per un racconto: ciò che accade va raccontato, anche se scabroso o scomodo.

Vittoria Grassi, Federico Albert

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