Non c’è altro da fare che andare a scuola, andare a scuola, andare a scuola, andare a scuola.
Il primo giorno scopro che le ragazze che ho davanti non scrivono o non hanno mai scritto un diario, alcune perché hanno paura che possa essere aperto di nascosto, che sia violata la propria intimità, non leggono libri quasi mai, non vogliono raccontare quasi niente davanti ai compagni. Si proteggono con dignitosa irriverenza.
Sono quasi tutte ragazze.
Vanno a scuola ogni giorno. Alcune arrivano da lontano.
Hanno letto il mio libro, tutte.
Il preside è entrato in classe un giorno e ha detto: a chi ha intenzione di leggerlo, glielo compro. Ai miei occhi è diventato un eroe.
Per Andrea, l’unico maschio, si tratta della prima volta che ne legge uno per intero.
M’incalzano di domande. Vogliono sapere quanto c’è di reale, quanto di biografico, giudicano il gesto con cui inizia la storia, l’abbandono di un bambino appena nato. Alcune lo condannano. Mi dicono che non è possibile, che non è giusto, che non si fa.
Ne parliamo a lungo.
A poco a poco tirano fuori opinioni. Le loro posizioni sono spietate.
Improvvisamente ricordo com’ero.
Mi chiedono quando ho iniziato a scrivere e perché, e come, e quanto, e quando.
La volta dopo arrivo a scuola con un borsone pieno di libri, di diari, di racconti che ho scritto alla loro età, di testi rifiutati dagli editori, le storie che tracciavo a otto anni. Racconto i passaggi, i momenti in cui ho sentito con precisione che la mia vita stava cambiando.
Racconto com’è nato il libro.
Leggiamo gli incipit dei romanzi che la sera prima ho tirato giù dalla libreria. Avrei voluto portargliene altri, ancora. Tutti. Li sommergo d’inizi di storie.
Come la volta prima, non mollano mai l’attenzione, non mollano lo sguardo.
Alla fine dell’ennesima domanda, rilancio dicendo che vorrei una storia in cambio. Lascio un compito: quello di mettersi in coppia, e raccontarsi se c’è stato un momento in cui hanno sentito che la loro vita stava cambiando. Chiedo di passarsi le storie, e di scrivere quella che hanno ricevuto. Dico di non risparmiare dettagli, di fare domande precise.
Poi torno, per la terza volta, di fronte allo schieramento dei loro occhi selvatici. Chiedo di leggere a voce alta ciò che hanno scritto.
È quasi un affronto, ma ancora, non mollano.
E così lo fanno, in ciascuna ragazza accade un piccolo miracolo.
Alcuni racconti sono di una potenza sconcertante.
Poi finisce il tempo, e mentre risalgo in macchina in mezzo ai campi e al nulla intorno all’edificio scolastico, continuo a pensare che non c’è altro da fare per me che andare a scuola, andare a scuola, andare a scuola, andare a scuola.
Che forse si scrive un libro in solitudine per imparare ad andare a scuola a incontrare ragazzi come questi che ho incontrato.
Marta Pastorino
Leggi anche il resoconto dei ragazzi che hanno adottato Marta Pastorino
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