2 Ottobre 2015, ore 2.10 del mattino: l’ospedale traumatologico di Medici Senza Frontiere a Kunduz viene bombardato da un aereo americano, ancora e ancora.

Il bilancio attuale è di 16 morti , di cui 9 operatori umanitari Msf e 7 tra pazienti e custodi.

E’ con questa tragica notizia che, stamattina, si sono svegliati i medici di Msf, i quali si dichiarano assolutamente scioccati e al contempo indignati per l’accaduto.

Oggi pomeriggio, alle 17, hanno tenuto una conferenza del tutto non ufficiale e spontanea per aggiornare il pubblico interessato sulla situazione. Presenti sotto il tendone erano Gabriele Eminente, Meinie Nicolai e Miguel Lupiz. In particolare, quest’ultimo aveva lavorato per tre mesi nell’ospedale di Kunduz, detto KTC (Kunduz Trauma Center) rimanendoci fino ad un mese fa.

Prende la parola Eminenti e dichiara che, secondo un comunicato stampa di 4 giorni fa, l’ospedale era gremito di feriti in seguito ai conflitti di Lunedì scorso tra l’esercito afghano e i talebani, specificando che una persona su tre che avevano preso in cura, era un bambino.

Dopo di lui, si alza con il microfono Meinie Nicolai, operatrice di Msf da anni ormai, la quale, con parole intrise di rabbia, ha espresso tutta la propria indignazione e dei suoi colleghi: “Siamo scioccati da quanto è successo e ovviamente condanniamo lo stato e chiediamo un’investigazione totalmente indipendente e trasparente per capire al meglio ciò che è successo la scorsa  notte.” Dopo di che spiega che proprio nei giorni precedenti, a causa degli scontri, l’ospedale era rimasto aperto e aveva ospitato un numero talmente alto di feriti che gli operatori dormivano lì per continuare a lavorare. Tiene a precisare che non si tratta in alcun modo di un incidente, dal momento che il centro è stato colpito ripetutamente nel blocco centrale dell’edificio, ovvero il reparto di terapia intensiva.

In ultimo, si esprime Miguel Lupiz, il quale spiega nello specifico di cosa si occupasse il centro traumatologico di Kunduz, che vantava un record di 6000 interventi l’anno. Inizia a descrivere la struttura dell’edificio, ma, preso da commozione, è costretto a fermarsi e a sedersi, confortato da una vigorosa pacca sulla spalla da parte del collega.

Per ora non ci sono altri aggiornamenti, se non che si sta provvedendo a trasportare i feriti negli ospedali locali e che il governo di Kabul si  è lamentato del fatto che la struttura faceva entrare persone da qualsiasi fronte e questo avrebbe permesso l’accesso ad alcuni terroristi. Tutto ciò, comunque, è infondato.

 

Celeste Paccotti, Ines Ammirati