Riceviamo da Raffaella Romagnolo un bellissimo articolo sulla sua adozione, che pubblichiamo volentieri.  Aspettiamo presto anche i commenti dei ragazzi dell‘Istituto d’Istruzione Superiore Giolitti di Barge,  che quest’anno la ha adottata. In questo articolo trovate il racconto del secondo incontro

Adotta uno scrittore è tante cose. La prima è la strada. Per raggiungere l’Istituto Alberghiero di Barge, il treno che prendo lascia l’Appennino Ligure, attraversa un lembo di pianura, sfiora le Langhe, si arrampica fino a Torino Lingotto e di lì a Pinerolo. E quando finalmente  scendo, in testa tutto questo gran Piemonte, davanti agli occhi ho le Alpi.

Alla stazione arriva qualcuno a prendermi, insegnanti che si danno il cambio in una staffetta che dura venti minuti all’andata e venti al ritorno, ed è ancora strada , ma in automobile, attraverso una selva di bifamiliari, condomini,  campi incolti, capannoni, pompe di benzina con autolavaggio.  Siamo lontani da Torino, ma in un certo senso ancora a Torino, penso. Mi correggono: Cuneo, è Cuneo il centro di riferimento per chi vive a Barge.  Penso allora che hanno ragione i sociologi, le periferie  si somigliano, e io ce l’ho davanti da quasi due ore, l’immensa periferia in cui la maggior parte di noi vive.

Barge è famosa per la pietra da costruzione, tipo Luserna. L’insegnante che mi accompagna ne decanta la qualità. Non voglio guardare i centri commerciali che affiorano ad ogni chilometro, così ascolto il suo racconto, ma tengo gli occhi su nuvole e montagne. Per queste pietre, dice, vengono persino i cinesi, e diventano cinesi di Barge. Chi l’avrebbe detto, in questa periferia che credevo lontanissima da tutto, persino dai problemi dell’integrazione. Abbasso  gli occhi e le montagne le ritrovo a bordo strada:  depositi lapidei, magazzini di pietra preziosa, carroponti per sollevarla, lavoro.

Di lavoro parlano volentieri le insegnanti, intanto che guidano. Questa di Barge è una scuola giovane – un distaccamento che esiste da pochissimi anni – ci si trovano a meraviglia, quelli che bruciano sono semmai i dolori del precariato, l’anno da otto o nove mensilità (se hai fortuna), la SIS, la scuola di specializzazione che, nonostante i proclami, non basta a garantire il posto. Se sono insegnanti d’esperienza, ti raccontano invece del ritorno alla casa dei vecchi, tra le montagne, dopo anni di città, e proprio grazie al posto garantito dalla nuova scuola di Barge. Il lavoro è il nostro tarlo, la nostra ossessione collettiva. La cattedra che, per un paio d’ore, alla fine di questa lunga strada, casualmente occuperò, per le insegnanti che, nel loro giorno libero, nella loro ora libera, mi accompagnano avanti e indietro, è approdo, destino.

La scuola di Barge è diversa da come te la aspetti. Mi sembra più pulita e fresca di quelle che ho avuto la fortuna di visitare da quando scrivo romanzi. Perché è nuova, mi dico. Però non so. Anche i ragazzi e le ragazze sembrano diversi. E’ una quarta, trentuno, maggiorenni. La maggior parte, nel fine settimana e nelle vacanze, lavora, facendo il mestiere che ha imparato qui: cameriere, cuoco, barman. Lavorare aiuta a capire come gira il mondo, forse un certo rispetto dei luoghi viene da lì, pensa la mia parte moralista, che si commuove davanti a un muro tinteggiato di fresco.

Per tutto il viaggio, mi sono domandata dove fosse il punto di contatto  tra me e loro. Ho una lunga lista di perplessità circa il mondo degli starchef, guardo con sospetto i palinsesti colonizzati da fornelli e buone massaie, credo che il cake design sia un chiaro sintomo di malessere sociale, fatico a cuocere decentemente un uovo alla coque, mai avrei potuto farne la mia vita. Ma quando vedo questa bella scuola, e poi qualcuno dei più giovani che, in divisa, mi offre un caffè impeccabile in tazzina riscaldata e bicchierino di minerale a parte; quando scopro che, all’Alberghiero, in terza ti danno la qualifica professionale e puoi chiudere i libri e cominciare a guadagnare (mentre i “miei” trentuno hanno deciso di specializzarsi); quando rifletto sul fatto che l’Alberghiero resta una scuola vocazionale, neanche a quattordici anni ci capiti dentro per caso come può accadere in un Liceo, o a Ragioneria o all’Istituto tecnico o in un altro professionale più generalista; e soprattutto quando li vedo attenti, e curiosi di questa mia strana incursione nella loro routine fatta, in gran parte, del lavoro che hanno scelto, il discorso mi viene fuori spontaneo.  A seconda di dove vieni al mondo, dico,  la vita ti mette davanti poche o molte strade: operaio o impiegato nel primo posto decente che ti capita, per i più. Per alcuni, pochi, il posto di tuo padre in azienda o nello studio professionale.  Ma scrivere è altro. E’ una scelta.  Scegliere una passione  – scoprire in sé una vocazione – e trasformarla in un mestiere. Li guardo tutti e trent’uno, le ragazze e i ragazzi che hanno scelto di essere cuochi e maitre di sala e barman, e penso che Adotta uno scrittore è anche questo ri-conoscersi.

Raffaella Romagnolo