A tutte noi donne capita almeno una volta al giorno di trovarsi davanti all’armadio, le ante aperte, e sospirare tra la disperazione e lo stupore: “Non ho niente da mettermi!”. Nel mio caso specifico è un’azione molto poco contemplativa dal momento che sono perennemente in ritardo. E’ più uno sconforto rapido e un po’ ansioso che mi spinge a buttare la mano nell’armadio, agguantare la prima cosa che trovo e correre verso la porta, infilandomi le ultime cose nell’ascensore. Il procedimento è ancora più complesso se devo andare ad una festa. Allora la preparazione comincia con più anticipo e dedizione. Una volta arrivata la prima cosa che faccio è guardare le altre donne per accertarmi di non essere la più appariscente, ma neanche di fare da tappezzeria. Ecco, solo a questo punto, posso pensare al divertimento. Le difficoltà cominciano quando dalla festa bisogna tornare a casa. Perché tre parole “donna” “sola” e “notte”, messe insieme possono sembrare anche spaventose. Nel caso non bastasse la cronaca a dimostrarlo si può andare a rivedere un video che girava su internet qualche tempo fa: una ragazza cammina per 10 ore per New York, da sola, in silenzio. Eppure la sua passeggiata è tutt’altro che silenziosa. Riceve più di 10 apprezzamenti e battutine all’ora. Sebbene non avesse affatto un abbigliamento provocante. Le parole possono essere violente anche se non sono urlate. E’ una forma sottile di paura quotidiana che riempie la nostra vita di insicurezza e ci convince che l’unico modo per essere più libere è con un uomo a fianco.
Ci sono poi donne che riescono a fare delle loro parole una risposta alla violenza. Che riescono a ribellarsi e raccontare la propria storia. Gli esempi sono numerosissimi, ma uno in particolare sta ricevendo particolare attenzione negli ultimi giorni. Mi riferisco all’ultimo premio Nobel per la letteratura, Svetlana Aleksiev, ricevuto per la sua “opera polifonica, un monumento al coraggio e al dolore della contemporaneità”. Una giornalista e scrittrice che ha saputo dare voce a una pluralità che non ne aveva mai avuta, le donne dell’Armata Rossa. Una pluralità di donne coraggiose che combattevano per liberare la propria terra e per lo più si sono ritrovate da sole.
Le parole, la violenza e tutto quello che ruota intorno al femminile sono stati al centro del secondo incontro del Salone Off 365 con Massimo Recalcati, intervistato dagli studenti del D’Azeglio e dagli studenti di Psicologia dell’Università di Torino. “Da cosa nasce la violenza sulle donne e perché arriviamo ad amare la mano che ci percuote?” Rispondere è un’impresa difficile come scalare una montagna. Eppure il Professore ci ha accompagnato in cordata fino in vetta. Il pendio è così ripido perché spiegare cosa sia una donna è difficile come spiegare a cosa serve la letteratura. Ogni scrittore e ogni lettore ha una sua idea personalissima e altrettanto giusta. Spiegare l’uomo, ammette lo stesso Recalcati, è molto più semplice. Essere uomo è comprarsi l’iphone 6 plus per poter dire di averlo più lungo, il telefono. E di lì non fa molta strada. Almeno fino a quando non incontra una donna. E questo impatto con un essere così mutevole è travolgente. Lei parla una lingua straniera e lui non ne ha il dizionario. Questa sensazione di straniamento a volte è fonte di angoscia. Troppo spesso può essere motore di violenza. La donna infatti è “il nome anarchico del desiderio, ciò che non può essere misurato, controllato, definito”. Ogni donna è diversamente infinita. E questo le crea non pochi problemi. Dalla difficoltà a soggettivarsi può nascere il desiderio di un padrone, che reprima e mortifichi questa femminilità così indistinta. La strada della guarigione passa attraverso l’intuizione che il femminile sia uno stile, ricco perché parte da uno svantaggio, e termina con la consapevolezza che basta un solo schiaffo, uno solo, per perdersi dentro questo meccanismo perverso.
E’ stato un incontro denso di contenuti e di spunti, che tuttavia mi ha lasciato ancora qualche perplessità su chi o cosa sia una donna. Per fortuna la società dei new media mi ha insegnato che se hai una qualunque domanda di sicuro Google o la TV avranno la risposta. La mia fortuna vuole che in questo caso essa sia su entrambi. Mi riferisco al nuovo spot di una nota marca di borse che ci dice esattamente cosa vuol dire essere una donna:
“Posso lucidare questa casa e farla splendere come una monetina
nutrire i figli, guidare l’auto e incipriarmi il naso contemporaneamente
vestirmi bene, fare le quattro del mattino e poi…
addormentarmi alle cinque svegliarmi alle sei
e ricominciare tutto di nuovo
Perché sono una donna D.O.N.N.A
Ricordatelo bene
Se sei malato ti farò stare bene,
se ti senti maledetto spezzerò l’incantesimo
se sei affamato ti prenderò per la gola
se è amore che cerchi ti bacerò fino a farti tremare”
“Se per avere tutto questo basta comprare una borsa… potevano dirmelo subito!” mi ha detto un amico a cui l’ho fatto vedere. Forse basta una borsa. O forse serve una Donna. Per non sbagliare io, la borsa, me la compro lo stesso!
Martina Dattilo, Redazione BookBlog
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