Khadra, durante l’incontro di ieri, 5 marzo 2016, ore 20.45, ci ha proposto una sua lettura e poi un documentario da cui sono emersi alcuni ricordi della sua vita, a partire dalla sua infanzia, dagli amici, dalla moglie, dal suo paese e dalle sue idee.

I suoi ricordi non si limitano ad essere dei bastioni, nel tempo hanno messo radici e alzato la loro cima per cercare di essere più leggeri, facendo un favore all’agognato spirito, e di farsi strada senza essere calpestato da qualsivoglia uomo.

Viene iscritto dal padre ad un’accademia militare nel 1964, a soli 9 anni, per diventare “un cadetto della rivoluzione”. L’unica cosa che avrebbe voluto portare con sé in quel posto lontano da tutti, con delle mura così spesse da non sentire il traffico esterno e da impedirgli la libertà, erano i suoi fumetti. Racconta inoltre che lo hanno rasato, che ha preso molti schiaffi, che si trovava “in mezzo a quelle centinaia di ragazzini avviliti ai piedi dei bastioni, con l’aria dolente, lo sguardo ferito” e che ha imparato a fare “il letto senza una piega”. Diventa la matricola  “numero 129” e ricorda di aver appreso il senso della determinazione da “numero 18”, di cui non sa più il nome. Si rende conto, in un momento triste e di sconforto, che gli mancano la madre e  il padre e che nessuna stella veglia su di lui. Dopo lunghe giornate tutte uguali, si sente un uccello in cattività e, non vedendo nessun futuro roseo, diventa perfino estraneo a se stesso.

L’unico bagliore di luce per lui sono i libri. Essi arrivano in suo soccorso nei momenti di debolezza. “I miei sogni, in realtà, non erano altro che il prolungamento delle mie letture.” Legge talmente tanto e va così spesso in libreria che alcuni pensano che abbia perfino quasi una “bizzarra patologia” o che forse non legga davvero. I libri, in realtà, sono il suo “apriti sesamo”. Non sa se considerarsi pazzo o coraggioso, per aver scritto i suoi romanzi, ma non gliene importa niente. Lui vuole scrivere e basta, ad ogni costo.

Racconta l’orrore durante la guerra di Algeria, tramite una descrizione macabra e forte. Ringrazia ancora una volta, come aveva fatto già nell’incontro pomeridiano, sua moglie Kehaza per l’opportunità che gli ha dato di poter scrivere ancora, e ribadisce ancora una volta che per lui le donne sono importanti.

Racconta anche come stava per perdere la vita. Da piccolo si trovava in riva ad un fiume, ed un uomo che non conosceva gli disse di saltare. Khadra rispose che non sapeva nuotare, ma l’uomo replicò dicendo che si trattava di coraggio. Mentre il ragazzino stava affogando, l’uomo, che sembrava felice di questa sofferenza, se ne andò senza aiutarlo. Per puro caso e per grandissima fortuna passò di lì un cugino del futuro autore che lo aiutò e gli salvò la vita. Forse è anche per questo che Khadra ricorda sempre l’importanza della vita, e di come essa sia la cosa più importante che un uomo ha e che bisogna continuare a vivere nonostante tutto.

Afferma poi di essere nato per leggere e scrivere. Quando scrive non pensa a nulla, o meglio vive quello che scrive e addirittura descrive alcuni personaggi a sua immagine e somiglianza. Scrivere è tutto quello che vuole.

Dopo la lettura, l’autore si è seduto tra il pubblico, come se fosse uno spettatore. Ciò rivela la sua grandezza: è talmente umile e allo stesso tempo capace di coinvolgerci in tutto ciò che dice e scrive, da farci quasi dimenticare che è un uomo di così grande successo.

Jessica Santarossa e Alice Pittau

(IV H, Liceo M. Grigoletti, Pordenone)