S’intitola Transnational Appetites: Migrant Women’s Art and Writing on Food and the Environment ed è un progetto di ricerca – di cui è titolare la Prof. Daniela Fargione (PhD Lingua e Letterature anglo-americane), promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino e finanziato dalla Compagnia di San Paolo – che fin dagli esordi ha visto la collaborazione del Concorso Lingua Madre. Un legame, questo, quasi naturale dal momento che il progetto ha come obiettivo quello di esplorare le interconnessioni tra cibo e ambiente e la loro rappresentazione artistica al femminile, in contesti transnazionali. E il cibo, com’è prevedibile, ha un ruolo cruciale nelle storie raccontate da molte donne, essendo un legame diretto tra il corpo e l’ambiente naturale, oltre che con/testo discorsivo esso stesso.
In virtù della sua polisemia, il cibo partecipa a sistemi complessi e circola in molteplici forme culturali. Tuttavia, questa proliferazione di discorsi ha anche rivelato una serie di paradossi: fame, obesità e malnutrizione, malattie genetiche autoimmuni, declino della biodiversità, crudeltà sugli animali, ecc., concludendo che l’intera industria alimentare concorra alla contemporanea crisi ecologica con tutti i suoi corollari.
Letteratura e arte, allora, possono facilitare una presa di coscienza, favorire alleanze globali e stimolare un attivismo ecologico che spesso vede protagoniste le donne.
La prima parte del progetto è stata, infatti, rivolta a una ricerca di scrittrici e artiste migranti – molte delle quali autrici del Concorso Lingua Madre – che abbiano affrontato nelle proprie opere queste tematiche. Un lavoro che ha coinvolto anche i Green Onions, un gruppo di studenti dell’Università di Torino uniti dalla passione per l’ecocritica e i temi ambientali.
La seconda parte del progetto si articolerà invece in un grande Festival culturale, Alla tavola delle migranti una manifestazione che si terrà a Torino il 17 settembre 2016, pensata per coinvolgere l’intera cittadinanza e sensibilizzare ai temi della sostenibilità, della biodiversità e della cultura migrante come strumento di cambiamento, di impegno sociale e benessere.
L’intero progetto sarà presentato in anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino, nell’ambito degli appuntamenti a cura del Concorso Lingua Madre.
Noi della redazione Bookblog abbiamo pensato di offrire alle/ai nostre/i lettrici/tori un’anticipazione dell’incontro con le interviste ai protagonisti, iniziamo con le/i ragazzi dei Green Onions. Buona lettura!
Raccontateci i vostri inizi… Come vi siete conosciuti? Com’è nata l’idea di creare questo gruppo?
L’idea di un gruppo di approfondimento su temi legati all’ambiente è nata all’inizio del 2015, quando alcuni di noi si sono incontrati e hanno manifestato la volontà di sfruttare in modo originale e strutturato le conoscenze acquisite all’università, in particolare sui rapporti tra letteratura e ecologia. Gradualmente, grazie anche ai social network, il gruppo si è ingrandito sia come dimensioni che come interessi, e si è formato come un’iniziativa interdisciplinare che affronta l’ecologia sotto varie prospettive, oltre la matrice umanistica iniziale. Attualmente, infatti, fanno parte del gruppo studenti di diverse facoltà sia dell’Università di Torino che del Politecnico.
In questi mesi ci siamo incontrati ogni due settimane e a ogni incontro abbiamo approfondito temi sempre differenti, con l’obiettivo di informare e di formarci. Parallelamente abbiamo portato avanti la gestione di un blog dove pubblichiamo articoli su temi culturali e di attualità ambientale, scritti dai e dalle componenti del gruppo.
http://greenonions.altervista.org
https://www.facebook.com/GreenOnionsTO/
https://twitter.com/Green_onionsTo
A chi vi rivolgete? Quali sono i vostri obiettivi e cosa pensate di fare in futuro?
Siamo aperti a chiunque sia interessato a nostri incontri e alle nostre attività. Chi vuole conoscerci o partecipare può contattarci su Facebook e visitare il nostro blog (greenonions.altervista.org). I nostri obiettivi crescono insieme al gruppo, sempre nell’ottica di un approccio originale e concreto ai temi ambientali. Tra i nostri progetti futuri c’è una serie di incontri di approfondimento con docenti e la nostra partecipazione a una giornata di pulizia delle aree verdi. In generale cercheremo di muoverci su due vie parallele: l’informazione e la ricerca attraverso incontri, eventi e articoli, e l’attività concreta sul territorio, in collegamento con le altre realtà locali impegnate per l’ambiente.
Alcuni di voi hanno deciso di collaborare attivamente al progetto “Transnational Appetites: Migrant Women’s Art and Writing on Food and the Environment”. Quale credete sia l’apporto più importante che le donne artiste e scrittrici, in particolarmente le donne migranti, possano dare alle tematiche ambientali?
Le donne migranti sono accomunate da una duplice alterità: un’alterità di status (in quanto straniere che non detengono – o sono in attesa del – diritto di cittadinanza) e un’alterità di genere e di ruolo (in quanto donne inserite in una società ancora fortemente patriarcale), che le rende spesso oggetto di una duplice subalternità, se non di vera e propria discriminazione. Il cibo, in quanto ricettacolo di saperi e autonarrazioni identitarie e comunitarie, ha da sempre rappresentato non solo un veicolo privilegiato di interazione, contaminazione e scambio tra i popoli ma anche, per lungo tempo, una sfera di competenza ed espressione segnatamente femminile. Il progetto Transnational Appetites da un lato prende dunque in considerazione tutte quelle scrittrici ed artiste che hanno scelto di raccontare la loro esperienza di migrazione proprio attraverso le tradizioni culinarie/alimentari del loro paese di appartenenza (o viceversa di approdo) e che hanno interpretato il cibo come discorso, ovvero come territorio tematico privilegiato per esplorare l’ibridazione culturale e le strategie di costruzione del sé; dall’altro lato il progetto, partendo da una concezione ecologica del cibo come crocevia fra natura e cultura, si propone di indagare in una prospettiva ecocritica il modo in cui queste donne elaborano, proprio attraverso i loro vissuti di emigrazione e il mezzo della creazione artistica, nuovi modi di abitare – o sarebbe meglio dire ri-abitare – non solo la società ma anche l’ambiente che le circonda, in una prospettiva antiantropocentrica di interdipendenza e reciprocità con l’altro da sé e il non umano.
Quali sono stati i criteri di ricerca utilizzati per questo progetto? A quali aspetti si è dato più attenzione?
Il nostro lavoro si è concentrato sulla ricerca di scrittrici e artiste migranti in quattro Paesi europei (Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia) che si sono occupate di cibo e ambiente. La ricerca era mirata alla costruzione di una banca dati consultabile su internet.
La validità di ogni singola voce dipendeva, dunque, dall’aderenza ai criteri di essere donne e migranti verso i Paesi d’interesse, occuparsi di arte o letteratura e trattare le tematiche di cibo e ambiente.
Gli aspetti ai quali abbiamo prestato maggiore attenzione sono stati il legame tra le artiste e il tema da loro indagato, ovvero, in quale modo queste donne utilizzano cibo ed elementi ambientali per raccontarsi o raccontare una realtà a loro nota.
Un’attenzione particolare è stata riservata al rapporto che conservano con il Paese d’origine e quello che instaurano con il Paese d’arrivo e come queste relazioni contaminino il loro lavoro.
Le ricerche sono avvenute in primo luogo attraverso internet; inizialmente abbiamo trovato numerose informazioni, il lavoro di selezione è avvenuto in un tempo successivo.
Molto materiale è stato recuperato grazie ai siti ufficiali dei Festival internazionali di scrittura, di arte e architettura (per la Visual art abbiamo spesso fatto riferimento alla Biennale di Venezia), nei quali, scorrendo anche gli archivi delle edizioni passate, abbiamo avuto modo di reperire opere e biografie delle artiste nostro oggetto di ricerca.
Se il web è stato uno strumento importante nella nostra ricerca, altri strumenti utili sono stati le Biblioteche e gli Enti e le Associazioni che si occupano di donne migranti e della loro cultura.
La ricerca è andata di pari passo con un lavoro di documentazione dei risultati che stavamo ottenendo: durante seminari svolti all’interno del laboratorio (Pro)fughe ambientali, cibo e arte abbiamo esposto le nostre linee di studio a tutti i colleghi. Questo ci ha permesso di approfondire ulteriormente il lavoro, in un confronto che è stato occasione di arricchimento personale e spunto per ampliare le ricerche.
Qualche nome delle autrici (artiste o scrittrici) che sono rientrate nella ricerca? Ci potreste descrivere alcuni lavori più significativi svolti da queste donne?
È difficile descrivere in maniera esauriente il lavoro anche solo di alcune di loro, anche perché non abbiamo stabilito una gerarchia interna tra le artiste e le autrici: tutte le opere che abbiamo incontrato, se pertinenti, hanno avuto lo stesso peso ai fini della ricerca. Uno dei primi nomi che abbiamo trovato è stato quello di Igiaba Scego, portando come esempio il suo racconto Salsicce, dove la protagonista ha una crisi d’identità legata alla sua condizione di migrante, e dove il cibo occidentale diventa metafora di tale condizione. Tema centrale infatti di quasi tutta la produzione artistica che abbiamo incontrato è stata proprio la difficoltà delle migranti ad integrarsi nel nuovo ambiente, e di conseguenza la comunicazione di questo disagio attraverso la scelta di un determinato cibo. A questo proposito, molto interessante anche il lavoro di Ivana Spinelli, visual artist italiana emigrata in Germania, che nel progetto “GPU pass clandestino” cuce il pane sulle magliette dei calciatori italiani: cibo e cultura popolare si intrecciano e diventano simbolo delle difficoltà di integrazione che spesso i migranti incontrano nella loro nuova casa.
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