Venerdì 30 settembre al festival dell’Internazionale di Ferrara si è tenuta la proiezione del docufilm Among the believers, una pellicola che racconta per la prima volta non solo il punto di vista delle vittime di terrorismo, ma anche quello dei terroristi stessi.
Il film è ambientato nel Pakistan dei giorni nostri e contemporaneamente racconta tre storie: quella della dodicenne Zarina, che scappa da una madrasa affiliata alla Moschea Rossa (scuola di Corano) del suo villaggio per iscriversi in una scuola organizzata dal capo-villaggio, distante dal fondamentalismo religioso; quella di Talha, anch’esso dodicenne, che dopo i conflitti tra forze dell’ordine e talebani, si oppone alla decisione del padre e resta a studiare il corano nella madrasa; quella di Abdul Aziz Ghazi, leader religioso estremista, capo della Moschea Rossa e di tutte le madrase ad essa affiliate (35-40.000 circa) che, essendo alleato con l’ISIS e i talebani, sostiene il punto di vista di mullah e mujahidin, e racconta della sua volontà di imporre in Pakistan la Sharia con fare pacato e carismatico.
Oltre che a intrattenere, questo docufilm punta a istruire: la pellicola è infatti strutturata come un documentario, ed espone l’assetto politico-religioso del Pakistan dalla guerra fredda, quando gli stessi USA appoggiavano economicamente la Moschea Rossa per combattere contro i russi invasori, al periodo di conflitto fra Stato e gruppi fondamentalisti islamici, come quello di Osama Bin Laden che aveva ricevuto fedeltà dal leader religioso Abdul Aziz, fino all’avvento dell’ISIS, anch’esso appoggiato dalla Moschea Rossa.
Molto significativo è l’aspetto documentaristico del film in cui sono raccontati non solo tre storie, ma anche due modi di intendere il ruolo della religione nella società e nella vita di tutti. Se le madrase offrono vitto e alloggio gratuitamente, è anche vero che lì avviene una vera e propria violenza psicologica su tutti gli studenti, che si attua con uno sterile nozionismo del Corano e con il rinnegare origini familiari ed etniche, fino a formare veri e propri soldati accecati dalla rivalsa sociale e religiosa contro l’innesto di valori occidentali. D’altra parte, è forte la presenza di musulmani “moderati”, che sostengono che la Jihad non sia una cieca violenza contro tutto e tutti, dietro cui si nascondono fini politici, ma una ricerca spirituale interiore che si concretizza in un pacifico sforzo per migliorare la società.
Viene spontaneo chiedersi non solo quale di queste due accezioni della fede sia la più fedele al Corano, ma anche quale di queste è destinata a prevalere sull’altra.
Stefano Di Perna, Giovanni Sette
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