“Una parte di me ha sempre avuto terrore di come la mia mente pensa e si comporta, come se non ne avesse il pieno controllo o come se appartenesse a qualcuno che non sempre è solidale con me. (…). Per questo motivo forse ricordo dove ho visto per la prima volta 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, la fila e il posto in ero seduto, quanti anni avevo. (…) Ricordo chiaramente la sensazione di terrore quando il computer della nave spaziale, Hal, attaccò gli astronauti. Sembrava che il film parlasse chiaramente della mia instabile relazione con il mio cervello, che così spesso mi faceva sentire esageratamente estroverso e insicuro, eccitato e vulnerabile allo stesso tempo. Gli astronauti erano diventati dipendenti da Hal, e lo davano per scontato. Era il loro cervello, il sistema centrale che governava la nave spaziale e la loro vita. E all’improvviso, se volevano sopravvivere, dovevano rendersi conto che Hal era un nemico, che voleva fare loro del mare. Mi sentii allo stesso modo quando realizzai che il mio cervello stava usando l’ansia per controllare quello che riuscivo a capire e di cui scrivevo, che stava cercando di censurare i miei pensieri. (…) Kubrick sembrava dirmi che la mia mente aveva i suoi piani e che, in determinate circostanze, la nostra intelligenza poteva essere usata contro di noi, fino ad arrivare all’obsolescenza e all’estinzione. Il momento in cui l’astronauta sopravvissuto riesce a disattivare Hal e riguadagnare il controllo dell’astronave fu un trionfo per me.”

 

 

Queste meravigliose parole sono state scritte da Philip Schultz in La Mia Dislessia e sono state da lui stesso riprese giovedì 9 marzo al Sermig, dove abbiamo avuto l’onore e il piacere di ascoltarlo e di conoscerlo grazie al Salone Off 365.

Philip Shultz è un poeta americano, nonché vincitore del premio Pulitzer 2008 per la raccolta di poesie Failure. Il premio Pulitzer non è stato per Schultz solo un riconoscimento, ma anche una rivincita contro il suo più grande nemico: la dislessia. Un nemico che per gran parte della sua vita non ha avuto un nome, poiché gli fu diagnostica solo a cinquantotto anni.

È Demetrio Paolin, scrittore italiano, a domandargli qual è stato il momento in cui ha deciso di diventare uno scrittore. Fu quando il suo insegnante privato gli chiese cosa volesse fare da grande, Schultz gli rispose di voler fare lo scrittore, anche se non aveva davvero idea di cosa fosse uno scrittore e non sapeva neppure se fosse veramente ciò che voleva diventare. Aveva, però, come l’impressione che quell’uomo fosse già convinto che non sarebbe stato mai in grado d’imparare a leggere e a scrivere. Ci rivela che è per questo motivo che gli rispose di voler fare lo scrittore: per dimostrare che non c’era nulla che non potesse fare, che non c’era nessuna difficoltà che non potesse superare.

La dislessia, senza dubbio, è sempre stata la croce dell’autore. Ci racconta di come, negli anni, sia migliorato nella scrittura e nella lettura, ma di come il suo rapporto con queste due attività resti tutt’ora una lotta continua.

Tuttavia, per certi versi, la dislessia l’ha anche reso il poeta che è oggi. Quando era bambino, la DSA- all’epoca sconosciuta –lo faceva sentire in difetto e diverso dagli altri suoi coetanei, spingendolo così all’isolamento. Per questo motivo restare da solo non è mai stato un problema per lo scrittore americano e “riuscire a stare da soli– ci racconta infatti Philip -è fondamentale per uno scrittore, perché bisogna lavorare molto e in tranquillità”. Schultz, fondatore tra l’altro di un’importante e prestigiosa scuola di scrittura, la Writers Studio, ha notato come i suoi studenti spesso non riescano a ottenere i risultati sperati proprio perché non sono in grado di restare da soli durante la composizione dei propri scritti. La dislessia, inoltre, è stata per lui fondamentale per la creazione di un io narratore. Avendo imparato a leggere fingendo di saper leggere, per lui è un gioco da ragazzi scrivere e dare un’altra prospettiva al racconto. Ad esempio in Erranti senza ali, che è solo una parte della raccolta Failure, Philip Schultz ci racconta dell’attacco dell’11 settembre fingendo di essere un dogsitter, il quale ha subito l’elettroshock e che ora è abbandonato a se stesso.

Durante l’incontro, l’autore ha aggiunto che uno scrittore dislessico diventa scrittore con tanta fatica e tanti sacrifici, che diventa scrittore pur pensando– nel profondo –di non potercela fare. Questo, secondo Schultz, va ricordato a tutti i giovani che hanno le stesse difficoltà d’apprendimento, di scrittura e di lettura, perché devono essere consapevoli che la dislessia può essere affrontata.

Forse però scrittori e persone come Philip Schultz possono essere dei modelli per tutti noi, perché come ha detto Demetrio Paolin ognuno di noi ha una sua “dislessia”, un suo nemico, un suo fantasma da affrontare. Bisogna essere coscienti che questi nemici possono essere affrontati e, a volte, battuti, trasformando ciò che può sembrare una debolezza, in una forza.

Cristina Ganz e Chiara Sapia, Liceo Classico e Musicale “Cavour”