I, too, dislike it.
Reading it, however, with a perfect
Contempt for it, one discovers in
It, after all, a place for the genuine.
Neanche a me piace.
A leggerla, però, con totale disprezzo, vi si scopre,
dopo tutto, uno spazio per l’autentico.
(Marianne Moore, «La Poesia», in Le Poesie, Adelphi, Milano 1991,traduzione di Lina Angioletti e Gilberto Forti)
Con la lettura di questa poesia, «La Poesia», si è aperto lo stimolante e arricchente dialogo che venerdì 12 maggio Ben Lerner e Martino Gozzi hanno intrapreso nel General Store della Scuola Holden di Torino.
Classe 1979, originario del Kansas, Lerner ha redatto moltissimi versi, due romanzi (Un Uomo di passaggio, 2011, Neri Pozza e Nel Mondo a Venire, 2015, Sellerio) e, più recentemente, un saggio dal titolo Odiare la poesia (Sellerio 2016). Gozzi, direttore didattico della SH, lo ha definito “uno scrittore di fantascienza interiore”, capace di distorcere le unità di tempo e di spazio kantiane per accelerare gli eventi e plasmare una realtà alternativa, che si esplicita attraverso una sorta di ibrido letterario. Infatti, neanche Lerner stesso -ha ammesso- è a conoscenza di che cosa va a realizzare quando inizia a scrivere: si concentra, piuttosto, su un territory of concern, una base da cui partire, un trampolino da cui tuffarsi, senza sapere esattamente dove cadrà.
Questa è solo una piccola fetta del mondo creativo dell’autore. Un autore controverso, a volte apparentemente contraddittorio, in realtà molto deciso e consapevole del proprio ruolo; un autore che si è lasciato scoprire durante questa serata fuori dagli schemi. D’altra parte, anticonvenzionale è anche la sua opinione sulla poesia. In primo luogo, è realmente possibile odiarla? Secondo Lerner, c’è molta più gente che la disprezza di quanta la ami. Il suo saggio si concentra soprattutto sulla delusione che nasce dal gap, la distanza, tra l’idea di ciò che si voleva scrivere e ciò che poi effettivamente è stato scritto. In sostanza, la poesia è uno strumento meraviglioso, che ci permette di creare nuovi mondi e nuove situazioni: il problema è che si tratta di circostanze ideali e irraggiungibili. Leggendo il suo ultimo libro, dunque, non troviamo una vera e propria difesa del genere letterario in questione -come ci si aspetterebbe, a dispetto del titolo, ha detto Gozzi- quanto più un’attenta analisi del rapporto tra poesia (intesa come astrazione) e realtà e del ruolo che essa assume nella società moderna. Un ruolo, come quello dell’arte, ormai marginale, ma fondamentale: si tratta di un punto di riferimento a cui stanno ancorati i valori comuni più importanti, senza i quali la nostra vita ruoterebbe esclusivamente intorno al materialismo.
Parlando del genere del romanzo, invece, Lerner ha sottolineato la differenza fra autofiction e fiction construction e ha spiegato come sia molto più interessante costruire se stessi all’interno della narrativa piuttosto che inserircisi. Si è anche soffermato, in seguito, sul titolo originale del suo secondo libro Il mondo a venire, ovvero 10:04: è un omaggio al film Ritorno al futuro e vuole richiamare l’attenzione del lettore sul tema della fragilità del futuro. Paradossalmente, esso può essere consolidato solo attraverso il passato.
È stata un’immersione nella mente di un autore acuto ed estremamente moderno, che ci ha fatto riscoprire, ancora una volta, la necessità di cambiare prospettiva e che ci ha fatto conoscere l’importanza della partecipazione del lettore al “processo vivente” della poesia.
Liceo Classico e Musicale Cavour
Federica Antonioli e Virginia Rocco
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