Non posso che ammirare Mario Tagliani e gli altri maestri e maestre, le operatrici e operatori, che svolgono il loro lavoro, con una dedizione che ha qualcosa di santo, dentro al carcere Ferrante Aporti. Non è facile relazionarsi con ragazzi difficile che, per un motivo o per l’altro, sono finiti in quel posto. La carcerazione di un minorenne, mi è stato spiegato, è l’ultima spiaggia per un giudice. Una scelta obbligata quando tutti gli altri mezzi per il recupero di questi ragazzi sono falliti. L’insuccesso dipende anche dal ragazzo, su questo bisogna essere chiari. Ma si può fare di più, di questo ne sono sicuro, per trovare soluzioni che tengano fuori i minorenni dal carcere. Incontrando questi minorenni o i maggiorenni mi ha colpito la mancanza di speranza verso il futuro, una sorta di rassegnazione. L’idea di non poter cambiare e, quindi, una rabbia forte che non può essere contenuta ma è solo destinata a esplodere. E questo è evidente nei tanti tagli che si sono fatti da soli sulle gambe o sulle braccia.
Poi c’è il vuoto, quello che li circonda e che può risucchiarli, portandoli chissà dove. Un vuoto che si è concretizzato nell’ultimo incontro, quello aperto al pubblico, quando le parole rimbombavano e si disperdevano nell’enorme salone. E ‘ stato complicato parlare con loro a causa della loro soglia di attenzione, pari quasi allo zero. Sono riuscito a incollarli alle sedie quando ho raccontato di me, della tragedia della Siria. Per qualche momento ho ottenuto la loro massima attenzione. Ma come possono essere attenti agli altri quando ognuno di loro vive un dramma personale che non vuole far vedere agli altri e, quindi, lo nasconde dietro a una maschera da duro?
Alcuni di loro imputano il loro insuccesso, la loro condizione, allo Stato non ammettendo di aver sbagliato. Mentre altri sono visibilmente pentiti. A entrambi, però, serve una parvenza di normalità che può essere ritrovata solo aldilà di quell’enorme muro che li separa dal resto.
Shady Hamadi
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