Dalle 10.30 del 20 maggio 2017 presso la Sala rossa del Salone del libro di Torino si è cercato di capire se Dio fosse compatibile con la scienza. Telmo Pievani ha introdotto gli ospiti che sono stati trattenuti da uno sfortunato contrattempo e hanno raggiunto la sala un quarto d’ora in ritardo. Si tratta dell’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi e il filosofo ateo Paolo Flores D’Arcais; Telmo ha intrattenuto i moltissimi uditori presentando l’idea di Teilhard de Chardin, il quale ritiene l’evoluzione un processo che ha portato ad una crescita progressiva spinto da un’idea finalistica (tutto è già deciso), affinché potesse poi discuterne con gli ospiti. Ha presentato dunque loro un’immagine da cui potessero partire: la Nasa lanciò una sonda che doveva perlustrare il sistema solare per circa quindici anni e poi uscirne e disperdersi nello spazio ma Carl Sagan, capo della spedizione, decise di girare l’obiettivo della sonda verso la Terra da una distanza siderale; si vide per la prima volta il nostro pianeta in una luce nuova, come un pallido e insignificante pallino blu su cui però si è sviluppata la nostra vita e tutto ciò che conosciamo.
Dopo che il filosofo per primo ebbe preso la parola, rispose alla domanda: Dio e l’anima sono compatibili con la scienza dopo Darwin, dopo che è stato accertato che l’origine dell’uomo risiede nell’evoluzione biologica delle specie? Egli ritenne che l’unica risposta plausibile fosse sia sì che no, infatti dipende dalla fede cristiana che non è unica, ma ne contiene diverse al suo interno e per qualcuna di queste sarebbe compatibile, ma per altre no.
Matteo Maria Zuppi ha affermato invece che l’anima è compatibile con la scienza e che questo discorso fa bene alla fede affinché la Chiesa possa ammettere certe rivoluzioni scientifiche che in passato ha condannato. Secondo Zuppi inoltre giusto parlare di un mondo finalistico, accompagnato dall’idea che lo spirito non sarà materia né viceversa.
Paolo ha poi concluso il suo discorso riflettendo sulla vita dell’anima dopo la morte e ricordando il giorno in cui rivolse questa domanda ad un suo amico cristiano: “come fai a credere che non morirai mai?” Egli rispose che spesso le persone hanno fede più per bisogno che per vero e proprio credo e che non poteva tollerare di non poter più rivedere i suoi cari dopo la morte. Dunque vale la locuzione latina “credo quia absurdum” ovvero credo proprio perché è assurdo; meno la ragione influisce sulla fede e più si tende a credere in qualcosa. L’anima è intrisa di spazio e tempo perché non sarebbe più un’entità individuale distinguibile da un’altra non dipendente da spazio e tempo.
L’arcivescovo ha concluso la conferenza sottolineando il contrasto tra chiesa e tradizione perché quest’ultima limita il progresso e l’evoluzione.
Secondo noi l’incontro è stato molto importante perché ci ha permesso di capire come fenomeni diversi possano in realtà essere strettamente collegati.
Nicholas Indemini Tardy; Luca Lanfranco
Liceo classico Vittorio Alfieri
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