Museo Egizio. La lettura di Marco Malvaldi si svolge nel semibuio, in una sala silenziosa benché gremita di spettatori al punto che, terminate le sedie e le panche, ci si siede in terra, e sorvegliata da statue che sembra un po’ incombano un po’ origlino su ciò che va accadendo: in fondo neppure la pietra è indifferente al fascino dei gialli di Agatha Christie, neanche alla pietra è risparmiato il secolare quesito “Ma quindi chi è l’assassino?“.
Com’è giusto si parte dal principio: il primo personaggio che appare, sottolinea Malvaldi, è Linnet Ridgeway, ereditiera giovane, ricca, bellissima, affascinante, invidiatissima. Già dalle prime pagine ci è chiaro che la fanciulla potrebbe senza grosso sforzo di fantasia avere un graziosissimo enorme bersaglio rosso fuoco disegnato sulla schiena, con la scritta esplicativa “prego, accoltellare qui” in due o tre lingue diverse: l’invidia di tutti è già un movente sufficiente e sembra gridare a chi legge “occhio che non arrivi a parina 100“, ma non si ferma qui.
Infatti in un brano successivo ci diventa chiaro che tipo di donna sia: piena di desideri e di ambizioni, non tollera che nulla stia fra lei e ciò che vuole, neppure se un suo vezzo va a significare un grande dolore per qualcun altro. Non si cura delle sventure altrui, neppure di quelle della migliore amica Jaqueline de Bellefort, alla quale contende con successo il fidanzato Simon Doyle, abbandonando per giunta il proprio per questo motivo. “Goditi la tua avanzata trionfale sul cocchio dorato” – scherza Marco Malvaldi.
A pagina 12 appare Hercule Poirot: belga (non francese!), elegantissimo, baffuto. Su questi due punti Malvaldi si sofferma. Di Poirot sono descritte persino le ghette, bianchissime su scarpe nere e sempre lucide, impeccabili; “Un granello di polvere sul panciotto -dice- gli avrebbe dato più noia di una coltellata alla schiena”.
Dei baffi dice che, leggendone la descrizione da bambino, se ne stupiva ogni volta, vedendoli incerati, folti, curvi, curatissimi – pensava fossero al di fuori di ogni capacità umana, “poi sono arrivati gli Hipster“. Grazie davvero, Hipster.
Vengono spese alcune parole anche su un personaggio presente marginalmente nelle vicende dell’investigatore belga: il capitano Hastings, che è “stupido come il basamento di una statua, prevedibile come uno sciopero della CGIL“, ma nonostante ciò Poirot lo adora.
Lo stesso non si può dire della stessa Agatha Christie, la quale dopo i primi due romanzi lo relega, con poche eccezioni, in una vacanza forzata. Tutti i romanzi in cui Hastings ritorna, afferma Malvaldi, tolti i primi due, sono brutti.
Poi si passa alla descrizione del personaggio di Tim Allerton, figlio della signora Allerton. É sorprendete come, con pochissime battute vivaci tra il figlio e la madre, Agatha Christie riesca a ritrarre in primo luogo il carattere dei due personaggi, in secondo due ideologia agli antipodi: il giovane Tim, vedendo le piramidi, si impressiona al pensiero del dolore degli sciavi che le hanno costruite, mentre la disincantata madre sembra non curarsene, ribattendo ironicamente che le pietre durano molti piú a lungo degli uomini.
Un breve commento di Malvaldi sulla presenza dell’archeologia nei gialli della Christie lascia spazio in sala ad una risata. L’autrice, infatti, sposò un archeologo, perché “piú invecchio piú mi apprezza“.
Se di Agatha Christie ci colpisce anche l’ironia, non possiamo dimenticare la quasi scientifica critica rivolta alla societá inglese: anche quando l’ambientazione dei gialli é esuberante ed esotica, gli inglesi protagonisiti sembrano essere immutabili nel tempo e nello spazio, non fanno altro che prendere il té e lamentarsi che il mondo fuori puzza. E oltre a questo, non rinunciano all’atteggiamento superbo, alla mentalitá colonialista di chi per lungo tempo é stato padrone di quello che fu definito “l’impero su cui non tramonta mai il Sole”.
“Dio non si fida di un inglese al buio“, aggiungerebbe Duncan Spaeth.
In effetti, questo giallo sembra volerci dimostrare che gli inglesi di notte non vanno sottovalutati: procede la lettura e due minuti dopo ci scappa il primo morto, proprio nella notte.
Dopo una serata travagliata, carica di tensione e macchiata di sangue per Simon, che Jaqueline in un momento di follia ed ubriachezza ha ferito con una pallottola alla gamba, calano le tenebre. Qualche ora più tardi, arriva la mattina, per tutti tranne che per Linnet Ridgeway, che scopriamo uccisa nel suo letto con un colpo di pistola.
E ovviamente, tutti quelli che avrebbero avuto motivo di ucciderla sembrano avere un alibi di ferro.
Finisce qui la favolosa lettura di Malvaldi: con un breve sondaggio ad alzata di mano attesta che una buona metá della sala – autrici comprese – non ha letto il libro. Nessun crimine al mondo é odioso quanto lo spoiler (speriamo presto perseguibile per legge) e Malvaldi, ben consapevole di questo, non ci rivela il colpevole e preferisce esortarci ancora una volta a leggere questo giallo imperituro.
Alla fine dell’intervento, le uniche mani che non battono sono quelle delle splendide statue egizie dai cuori di pietra. Forse i Faraoni non usavano applaudire.
Malvaldi, riuscito a placare i bollenti spiriti del pubblico, ringrazia il Museo Egizio, poi ci lascia con un’ultima riflessione. Probabilmente, dice, come tra cento anni le antiche Piramidi e statue saranno ancora ammirate, così qualcuno sarà visto ancora passeggiare con questo romanzo di Agatha Christie sottobraccio.
Perchè di Agatha Christie, più che i complessi ed intriganti intrecci, rimarranno sempre i personaggi: l’umanità è sempre la stessa.
La lettura, conclude, è un’arte astratta ed essa vivrà finchè ci saranno cervelli per capirla.
Domandiamo ancora a Marco Malvaldi quali siano i fini, i lati positivi di una lettura ad alta voce come quella svolta. Lui ci dice che certamente questa serve ad invogliare chi ascolta a leggere il libro, se non lo conosce, anche proprio perché si ritroverà a pensare “accidenti ma quindi chi è l’assassino“; se già lo si conosce spronerà invece a pensarlo da un altro punto di vista, perché il lettore chiaramente si sofferma a proprio piacere sugli argomenti che più lo toccano e più l’hanno impressionato. In ogni caso porterà ciascuno, inevitabilmente, sulle pagine di quello stesso libro, a cercare indizi come un novello Poirot più o meno baffuto, più o meno elegante.
Concludiamo con la speranza che il Museo Egizio voglia ospitare più spesso iniziative simili, così suggestive e interessanti come quella a cui questa sera abbiamo assistito.
Bianca Martinetto
Bianca Ceragioli
Liceo Classico Vincenzo Gioberti
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