Rammarico. Dispiacere, rincrescimento, rimpianto. Il rammarico ti consuma dentro, è un dolore sordo, incurabile. È rammarico quello che prova Pino Roveredo, ex detenuto e oggi scrittore, quando ripensa alla sua vita in carcere. È illegale per lui quest’istituzione: non riabilita, non insegna, non fa riflettere. Sminuisce. Sminuisce tutte quelle persone che hanno sbagliato e non trovano la forza di andare avanti, che una volta commesso il reato dovrebbero sì essere puniti, ma anche accompagnati in un percorso, più o meno lungo, di ripresa, di svolta.
L’esaltazione nel commettere qualche piccolo reato e nell’assomigliare ai detenuti, ardeva come un fuoco nei petti dei ragazzini che avevano vissuto un’infanzia difficile e che aspiravano a riscattarsi. Le sensazioni che provavano nel trasgredire le regole li facevano sentire grandi e forti, ma presto svanivano. Svanivano non appena varcata la soglia di quello che si sarebbe presto rivelato un inferno. La felicità lasciava spazio al terrore. Terrore delle manette, delle foto segnaletiche, dei compagni. Paura di non essere abbastanza forti, paura di morire chiusi in una cella e non rivedere più la famiglia. Il detenuto, infatti, non è una persona singola, non è un unico sbaglio: il detenuto è tutta una famiglia, la sua famiglia, con i suoi affetti e le sue debolezze.
Alice Pisacane e Federica Verardo
Liceo V. Alfieri e Liceo M. Grigoletti
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.