Accoglienza, inclusione e condivisione da una parte. Respingimento, esclusione e sovranità dall’altra. Parole chiave del dibattito democratico in Europa, attraverso cui viene combattuta una delle ultime battaglie ideologiche tra destra e sinistra. Come in passato, però, la prima vittima di questa guerra è la verità. Dell’immigrazione manca infatti un’analisi trasversale in grado di restituire un quadro chiaro della situazione sia a chi accoglie che a chi emigra. Sarebbe forse meglio, sia per i primi che per i secondi, interrogarsi sulle differenze tra l’aspettativa e la realtà?
Questo è ciò su cui cerca di fare luce “Stranger in Paradise”, docu-film del 2016 per la regia di Guido Hendrikx. L’opera, divisa in tre “atti”, è capace di mettere a nudo i paradossi della società europea, incapace di comunicare tanto al suo interno quanto al suo esterno. Valentijn Dhaenens, nei panni di un addetto ai servizi sociali, interagisce durante la prima parte con due gruppi di migranti; al primo espone tutti i difetti del fenomeno migratorio, il peso che gli immigrati rappresentano per l’Europa, l’impossibilità da parte dei servizi sociali di rendere l’integrazione sostenibile. All’altro, invece, racconta che l’accoglienza da parte dello Stato sarà totale, che l’accoglienza sarà in ogni caso dovuta, perché rispetto alla popolazione europea il numero di migranti è irrisorio. Il regista non si schiera né con l’una né con l’altra visione, ma si limita ad indicare i relativi paradossi. Seguendo lo stesso spirito di analisi liberamente critica, il regista analizza durante la seconda parte la trafila burocratica, spesso indicata come permissiva, nella sua realtà e concretezza: la legge va oltre alla percezione del singolo, e spesso esclude anche chi umanamente meriterebbe comprensione. L’ultima parte è dedicata esclusivamente al fattore umano: in un’aura di meta-cinema il protagonista si trova faccia a faccia con i migranti, discutendo con loro da uomo a uomo.
Forse è questo il messaggio principale che il regista vuole trasmettere: andare oltre ai pregiudizi è l’unica chiave per comprendere un fenomeno che viene spesso analizzato con il filtro della statistica, ignorando la complessità umana che lo caratterizza.
Michele Corio e Anna Civalleri
Liceo Ludovico Ariosto di Ferrara, Liceo Alfieri di Torino
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