Agli occhi dei più la mappa di una città non è altro che un dedalo di vie ed edifici. Eppure la chiave per interpretare questo labirinto non è questo strumento, buono piuttosto per i turisti, ma una più attenta analisi della percezione che ne hanno gli abitanti.
Partendo dalla lettura di testi come L’immagine della città dell’urbanista Kevin Lynch e Geografia del docente universitario Franco Farinelli, vari gruppi di studenti del Liceo Ariosto hanno acquisito gli strumenti per comprendere il progetto dell’architetto Nausicaa Pezzoni, presentato oggi nell’Atrio della scuola. La studiosa, conscia di quanto detto in apertura, ha proposto un’analisi dell’immagine di Milano, la sua città, propria di uno delle categorie più deboli del Paese: i migranti. Infatti la percezione di una città cambia a seconda di chi la vive: sono tre le Milano dei Milanesi, dei turisti degli immigrati. Se infatti i primi la vivono da sempre e i secondi solo superficialmente e per breve tempo, i migranti si trovano nella difficile situazione di dover diventare “milanesi” nel minor tempo possibile. Per loro non è la Milano del Duomo, della Scala e dei Navigli, quanto più quella delle case occupate e delle mense della carità. Ma anche quella dei mercati improvvisati nei parcheggi e delle moschee di fortuna nelle piazze di periferia. Se per i milanesi benestanti i margini della città sono quartieri come Logoredo, per l’immigrato medio le zone più periferiche rappresentano un Centro alternativo.
Come coniugare quindi due visioni così diametralmente opposte? È qui che la Pezzoni si “sporca le mani” e dimostra che i suoi studi sono più di natura pragmatica che teorica. Intervistando 100 immigrati, sono state così disegnate numerosissime immagini, mappe soggettive, visioni alternative della medesima città. Il risultato ottenuto è una forma estrema di quello che sono davvero le mappe, ovvero un incrociarsi di necessità e luoghi in cui soddisfarle.
Se dunque tutto quello che cercano gli immigrati è una casa, alla luce di questo studio appare chiaro che “casa” non significa altro che il luogo in cui si soddisfano a pieno i propri bisogni e si lotta in questo senso. “Casa” è il luogo in cui avviene il connubio tra la parziale rinuncia di una cultura legata ad un mondo lontano e l’accettazione di nuove necessità, modificando la città a seconda delle immagini dei nuovi arrivati. È questa l’innovativa reinterpretazione di un talvolta anacronistico valore di patria, ora diventata “non-patria”.
Piervittorio Milizia, Giovanni Sette
Liceo Ludovico Ariosto
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