Il 10 Marzo 2018, alle ore 16.30, al Teatro Verdi di Pordenone, “Dedica Festival” ospita lo scrittore e cineasta afghano Atiq Rahimi, moderatore il giornalista Fabio Gambaro.
Dal dibattito, ricco di spunti personali e attuali al tempo stesso, sono emersi in particolare il tema dell’esilio, del lutto, della lingua come forma di libertà, della condizione della donna, del senso di colpa e il tema scottante dell’immigrazione.
È emerso, ad esempio, che Terra e Cenere, il primo successo di Rahimi, è nato per elaborare il lutto per la morte del fratello comunista ucciso durante la guerra civile, fatto di cui lo scrittore è venuto a conoscenza solo a un anno e mezzo dall’accaduto.
In seguito si è passati alla scelta della lingua francese per Pietra di Pazienza, il primo libro non scritto nella lingua madre dell’autore, il dari (variante del persiano), che non ha articoli né distinzioni di genere. Secondo Rahimi, la libertà si guadagna attraverso la parola, dunque una lingua piena di limiti e tabù non ne consentirebbe il raggiungimento.
Maledetto Dostoevskij, invece, riflette sul senso di colpa, assente nella cultura islamica per una diversa interpretazione del peccato originale; per la sua opera Rahimi si è ispirato a Delitto e Castigo, capolavoro dell’autore russo che ha messo a nudo meglio di tutti gli altri questo sentimento.
L’incontro si è concluso con una domanda che, come prevedibile, vista la situazione attuale, riguardava l’immigrazione e, in particolare, la condizione di vita dei migranti nel comune di Pordenone.
Vesna Frangipane, Olga Rodnichevskaya, Carolina Fanzago, Lorenzo Riccobono, Alessandro Pagotto Liceo Michelangelo Grigoletti
Atiq Rahimi, tra realtà e integrazione
È stato chiesto all’autore se fosse a conoscenza di come vengono trattati gli afghani a Pordenone, dichiarando che molto spesso, nonostante le loro condizioni, i migranti “accolti” non vengono adeguatamente aiutati. Di fronte a questa constatazione Rahimi ha affermato non solo di esserne a conoscenza, ma anche che questo fenomeno non riguarda più soltanto gli afghani, ma è ormai una vera catastrofe.
Ha poi deciso di esprimere il suo punto di vista raccontando una storia, degna di nota; nel VII secolo durante l’invasione araba nell’impero persiano, di cui l’Afghanistan faceva parte, gli Zoroastriani al fine di evitare le persecuzioni religiose emigrarono in India, chiedendo asilo al Maharajah. Quest’ultimo come risposta però si fece portare da un servo una tazza di latte colma fino all’orlo, affermando che l’India era come quel latte: un minimo cambiamento l’avrebbe fatto fuoriuscire.
Per tutta risposta il capo degli Zoroastriani prese un pugno di zucchero e lo fece cadere dolcemente all’interno della tazza, senza che il latte traboccasse.
Al di là dello stupore generale che questa storia ha suscitato nel pubblico presente al TeatroVerdi, l’autore ha così voluto far passare un messaggio ben chiaro: l’arrivo del “diverso” non deve per forza provocare squilibrio e danni.
Lorenzo Riccobono, Carolina Fanzago Liceo Michelangelo Grigoletti
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