La ragazza con la Leica si presenta al lettore come un romanzo vero e proprio. Un lettore “ingenuo” può pensare di avere tra le mani una tradizionale biografia, più o meno romanzata, di una delle vittime più celebri della Guerra Civile spagnola. Ma fin dalle prime pagine ci si rende conto che La ragazza con la Leica è tutto tranne che un romanzo tradizionale (se nel XXI secolo si può ancora parlare di romanzo tradizionale).
Una ragazza EBREA, TEDESCA e APOLIDE, militante comunista, morta sul campo di battaglia, sembra l’eroina femminista perfetta per un’autrice tedesca, naturalizzata italiana, figlia di deportati ebrei e molto attiva nella riflessione sulla memoria della Shoah. Helena Janeckez però non ha alcuna intenzione di fare di Gerda Taro un’eroina. Helena definisce Gerda come uno “strong female character”, ma non per questo intende proporla come un modello. Gerda è contraddittoria e fuori dagli schemi, una di quelle donne capricciose e libere, quasi spregiudicate, che affascinano infastidendo al tempo stesso; affascinata dal desiderio, e soprattutto capace di instillarlo negli altri. Oggi potremmo definirla una femminista ante litteram, anche se Gerda non si sarebbe mai definita tale: era una donna che nel clima culturale degli anni Trenta, segnato da una drammatica involuzione culturale e politica, cercava di sperimentare nuove forme di relazione. Un personaggio così difficile da racchiudere in schemi prestabiliti deve essere descritto “in movimento”. Ecco così che la narrazione de La ragazza con la Leica attinge ai documenti ma evita lo sguardo frontale, lasciando che la protagonista compaia solo come “fantasma” nei ricordi di tre personaggi mediatori. “La trama di questi ricordi è episodica e associativa, segue un principio di plausibilità psicologica”, spiega Janeczek, per cui i personaggi che ricordano tendono a evitare le memorie più spiacevoli e dolorose.
I continui salti temporali e spaziali, non ordinati cronologicamente o causalmente, creano un effetto di “spaesamento” nel lettore. L’autrice ammette che inizialmente si è trattato di una scelta istintiva, ma che poi ha proseguito intenzionalmente nel creare questo effetto straniante per far provare al lettore la stessa sensazione provata dai protagonisti nel momento in cui il “fantasma” di Gerda appare loro.
Per quanto possa valere l’umile opinione di un’appassionata lettrice, Helena è riuscita pienamente nei suoi intenti. Gerda ci appare, talvolta, addirittura antipatica con tutti i suoi difetti, che la rendono pienamente umana e non mitizzabile. L’effetto di “spaesamento” iniziale è forte, ma dopo poche pagine travolge in un vortice che circonda il lettore facendo emergere un personaggio a tutto tondo.
Valentina Siviero
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