Opera naturale è ch’uom favella;
Ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v’abbella.
Dante, Paradiso, XXVI, 130-132
La pluralità delle lingue è naturale, in quanto espressione della naturale varietà degli uomini. Ogni lingua costituisce un microcosmo in evoluzione, che nasce, cambia e si adatta, qualche volta si estingue. Quando questo accade si perde un corredo di significati, di interpretazioni, si perde la realtà che quella lingua raccontava – ed è sempre un racconto diverso, anche se la realtà è la stessa. Per questo è così difficile accettare che una lingua possa morire, quantunque si tratti di una lingua antica e dimenticata da tutti come quella degli indios Günün a küna, sulle cui tracce si trova il giovane Annibale, protagonista del romanzo L’idioma di Casilda Moreira di Adrián N. Bravi. Annibale, studente italiano di etnolinguistica, si reca ai confini della Patagonia alla ricerca degli ultimi due parlanti di questa lingua indigena, Casilda e Bartolo: i due, che una volta erano amanti, non si rivolgono più la parola a causa di un litigio avvenuto molto tempo addietro, e custodiscono in silenzio l’idioma così destinato a morire con loro. Annibale affronta un lungo viaggio, un’odissea personale in cui si spoglia pian piano della sua lingua di origine, il florido italiano degli ambienti accademici, e indossa lo spagnolo asciutto ed essenziale delle pampas argentine, per convincere Casilda e Bartolo a parlarsi nuovamente e ad affidare a un registratore il compito di preservare la lingua degli indios.
La storia è naturalmente frutto dell’immaginazione di Adrián N. Bravi, che tuttavia si è ispirato a una lingua realmente esistita e morta, insieme al suo ultimo parlante, nel 1960. Come l’ultimo esemplare di una rara specie animale, Annibale insegue la lingua in estinzione con la perseveranza e l’impeto del cacciatore, deciso a salvarla a tutti i costi. Ma Casilda non è d’accordo; l’idioma, che porta il nome che lei stessa e Bartolo gli avevano dato, è la lingua con cui i due amanti si sono detti l’amore, fatti promesse, la lingua dell’intimità perduta. Come potrebbe mai, con quella stessa lingua, dire l’odio, il risentimento, la rabbia? Spento l’amore, anche la lingua deve necessariamente spegnersi. In fondo, c’è chi dice tutto in una lingua sola, e in essa fa rientrare ogni momento della sua esistenza; e c’è chi, come Casilda, può dire una sola cosa in quella lingua. Lo sa bene l’autore del romanzo, nato in Argentina e residente in Italia da trent’anni: “Per me è diverso dire bottiglia o botella. Qualsiasi parola nella mia lingua madre evoca un insieme di ricordi collegati all’infanzia che in italiano non ci sono. L’italiano per me è una lingua senza infanzia, così come lo spagnolo è una lingua senza vecchiaia”. La paura di stravolgere il senso delle parole nel passaggio da una lingua all’altra è tale che Bravi non si autotraduce, ma scrive i suoi romanzi in italiano e li affida a un traduttore per l’edizione in spagnolo.
Con la lingua si può giocare, la scelta dei termini, la struttura delle frasi viene modellata dalla penna di Bravi per raccontare il paesaggio e i popoli della Patagonia con uno stile aspro, essenziale, desertico, stepposo..“Sono convinto che la lingua appartiene alla terra”, dice. Di conseguenza, alla arida pianura argentina non può che corrispondere una lingua asciutta, dove ogni parola è necessaria, una lingua che restituisce il vento delle praterie, la terra secca, le rughe intorno agli occhi dei suoi abitanti. La lingua è una casa, un paese che si abita, che non si possiede, ma a cui si appartiene. Come si adottano gli usi e i costumi di un paese straniero, accostandosi a una lingua si abbandonano le espressioni, le strutture mentali, il punto di vista propri della lingua d’origine e si accolgono quelli della lingua che ci ospita. Parlare e vivere in un’altra lingua significa portarsi dall’altra parte, guardare se stessi con gli occhi degli altri, in un esercizio di mediazione continua che permette la coesistenza pacifica di una moltitudine di voci che, ognuna a suo modo, raccontano il mondo in cui tutti viviamo.
Agnese Giaccone
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