“Amo la mia professione perché è una sfida costante”, così comincia Luis Sepúlveda. Saggezza, conoscenza, cultura sono solo elementi funzionali alla storia che lo scrittore vuole narrare.  L’ispirazione si trova ovunque, per strada, in metro, sono i temi a cercare l’autore, ad aspettare di essere raccontati. Sepúlveda ci trasporta in una dimensione straordinaria fuori dal tempo e dallo spazio, quella in cui l’autore crea il racconto. Una dimensione in cui in cui ogni dettaglio ha un peso e in cui ogni aspetto della vita si intreccia per dare luce alla letteratura. E’ quando l’opera prende forma che si delineano i personaggi, concreti, reali che come tali vanno trattati e rispettati. I personaggi rispecchiano una parte, fosse anche molto nascosta, dell’interiorità del loro autore. E’ in Juan Belmonte, protagonista di Un nome da torero (1994) che Sepúlveda ha deciso di inserire parte della sua biografia, fissando così su carta la pienezza della propria storia di vita fino ad allora.

Concludere l’opera, dire addio al personaggio è la parte più complessa del processo di scrittura, dice Sepúlveda: una strana solitudine lo pervade, in quel momento il personaggio non è più in suo possesso, non può più plasmarlo e modificarlo, ormai è proprietà definitiva del lettore. Belmonte rappresenta un’eccezione. Juan è infatti tornato, vent’anni dopo, ne La fine della storia (2016) per dare voce alla trasformazione e alla crescita del suo creatore, confermando ulteriormente il suo ruolo di alter ego dell’autore. “Lo scrittore è come un piccolo Dio”, ha in mano i personaggi, deve seguirli, accompagnarli e mai superarli, deve essere, dice Sepúlveda, “il loro giornalista privato”. Come Belmonte anche il suo autore è cambiato, ma non si è spento in lui l’immenso desiderio di giustizia. La felicità è il destino della specie umana, questo crede l’autore, un mondo socialmente giusto e individualmente diverso, ecco la chiave.

Per questo Sepúlveda continua ad essere orgoglioso del proprio impegno politico, di aver tentato di cambiare la storia, di “aver fatto il giusto nel momento giusto”.

Martina Piscitelli, Maria Guandalini – Liceo Ariosto