Tra le crisi e gli stravolgimenti che la politica europea si è ritrovata ad affrontare nell’ultimo decennio, l’ascesa delle estreme destre nazional-populiste ha ragione di apparire come una delle più inquietanti; l’unica, sicuramente, a richiamare alla  memoria i tetri scenari del primo Novecento. Quattro giornalisti e quattro Paesi, ognuno con le proprie peculiarità, ma ugualmente coinvolti dal fenomeno del neo-nazionalismo sono stati al centro del dibattito Profilo destro tenutosi al Cinema Apollo nel primo pomeriggio. Assistendo all’incontro abbiamo avuto modo di constatare, dalle parole dei relatori, parallelismi e divergenze tra i populismi del Centro Europa, secondo quello che è sembrato uno schema relativo al contesto geostorico delle singole nazioni.

Un primo asse è quello rappresentato da Austria e Germania, Stati di cui hanno trattato rispettivamente Nina Horaczek e Christian Jakob. Le due repubbliche, già accomunate dalla lingua e dal sistema federalista, si distinguono però nel peso politico delle formazioni populiste locali, il Freiheitliche Partei Österreichs, al governo fino alle ultime elezioni di settembre, e l’Alternative für Deutschland, confinato all’opposizione. Entrambi i partiti, che condividono una retorica ostile tanto all’immigrazione quanto a quelli che considerano sprechi per la spesa pubblica, sono stati paragonati, malgrado l’origine nel contesto del liberalismo classico, alla Lega di Salvini nelle idee come nei modi. Sia l’FPO che l’AfD, nonostante risultassero in crescita nei sondaggi, hanno però deluso le aspettative, l’uno in seguito a uno scandalo legato ai rimborsi elettorali, l’altro a causa dell’inaspettato exploit dei Verdi.

Maggiore è stata la fortuna dei partiti di governo polacco e ungherese, Diritto e Giustizia (PiS) e Fidesz, tematizzati da Katarzyna Brejwo e Márton Gergely, la cui strategia è stata fortemente improntata sul rifiuto del modello liberale, l’opposizione ai diritti delle donne, delle minoranze LGBTI e dei migranti, assieme all’indebolimento delle istituzioni democratiche, hanno portato a parlare perfino di “democrazie illiberali”. Per garantirsi potere e consenso, il PiS, al governo dal 2015, ha puntato sull’introduzione di un reddito di base, una strategia sicuramente più apprezzabile rispetto al regime di censura e controllo dei media attuata dal primo ministro ungherese Viktor Orbán.

L’incontro, a partire dall’introduzione, è chiaramente apparso come privo della presunzione di fornire una soluzione, un vaccino contro queste formazioni, e così anche noi. Ci sembra però necessario condividere l’appello lanciato dai relatori, contro una certa stampa che da anni, ad un’informazione contenutisticamente approvata, preferisce il sensazionalismo, in più casi rivelatosi fallace quando non addirittura esso stesso causa dei successi delle nuove destre.

 

Martina Piscitelli, Piervittorio Milizia