In un Paese stremato dalla guerra, stuprato nella sua identità culturale, privato di ogni spazio collettivo che non sia mera concretizzazione dell’ideologia di regime, in cui, in definitiva, non sembrerebbero esserci nemmeno le ragioni di pensare una realtà diversa, la speranza, malgrado la tragedia delle genti afghane, non ha ancora visto la sua fiamma soffocarsi. Soggetti indisciplinati, inquietanti nel loro essere visceralmente inquieti, sta in loro il potere rivoluzionario che solo può abbattere il monumento ideologico che fagocita il singolo e la sua individualità.

In Frammenti di un discorso amoroso Roland Barthes ripercorre, nel giro di venti parole al più, l’essenza del mito e dell’utopia: con la perentorietà di un epigramma e la sensibilità delle parole dell’amore dichiara che, come il passato e l’origine, così il futuro apparterà al femminino. Tale è la qualità della donna in quanto donna. In data 4 Ottobre due giovani donne afghane, Fatima Faizi e Farahnaz Forotan, personalità di spicco del giornalismo internazionale, sono state invitate a condividere con il pubblico di Internazionale non tanto, o almeno non solo, il loro proprio punto di vista, quanto quello di tutte le loro connazionali, costrette dai Talebani e, forse paradossalmente, dai presunti liberatori ai margini di una realtà che le vuole definite secondo la logica del più gretto e decrepito maschilismo.

Dopo 18 anni di guerra, racconta Fatima, non si può dire che la condizione della donna afghana sia concretamente migliorata. Qui il primo spunto per una riflessione più ampia: la marginalità della donna non dipende soltanto, né forse in maggior parte, dal sistema ideologico del talebano. Bisogna considerare – e accorgersi del suo ruolo determinante- la mentalità conservatrice delle singole famiglie, che concepisce la donna solo ed esclusivamente come madre, figlia, sorella. Il ruolo della donna, secondo gli schemi ideologici tradizionali che, come malattia, deteriorano le singolarità di tutto il Paese, si limita alla riproduzione, contribuendo, così, al consolidamento di quella stessa realtà che le vuole oppresse: nelle zone rurali dell’Afghanistan le donne non hanno accesso all’istruzione né alla sanità. E’ immediato concludere che, se non sono garantiti nemmeno i più basilari diritti, alle donne non sarà nemmeno offerta la possibilità di ricoprire un ruolo politico. E infatti, benché in questi giorni siano in atto i trattati di pace fra i Talebani e gli Stati Uniti, al tavolo le donne non sono state coinvolte. Proprio in seguito alla vergognosa esclusione della componente femminile dagli incontri fra le parti, Farahnaz Forotan dà inizio alla sua campagna mediatica, La mia linea rossa. La campagna, nata per l’impensabile seguito che ebbe un suo post su Twitter, ha come obiettivo quello di far sentire la voce delle donne afghane. Per riuscire in questa impresa, perché d’impresa si tratta, è necessario, spiega Farahnaz, occupare e frequentare gli spazi spopolati dalla guerra.

Se c’è una via che può condurre a uno stravolgimento dell’apparato istituzionale, è quella battuta dai soggetti marginalizzati e oppressi. In questo orizzonte si inserisce anche Rafia Zakaria. La giornalista pakistana racconta che, con la guerra, gli Americani hanno portato anche una presunta forma di femminismo, che avrebbe lottato per garantire alle donne di vestire secondo il proprio gusto. La diffusione mediatica delle nobile azioni di chi altro non ha fatto che occupare militarmente una terra altrui, afferma perentoria Rafia, è un’ipocrita strategia militare, che consente ai liberatori (o invasori?) di continuare, in quanto responsabili di una politica sociale progressista, a perseguire gli interessi economici che sempre sono la vera motivazione delle guerre. A un femminismo incompleto, di facciata e strumentalizzabile Rafia oppone la necessità e l’esigenza di costruire un femminismo culturalmente autentico.

“Ave alle donne come te Maria” cantava il poeta; così, oggi, l’occidente deve levare un inno di queste donne, eroiche nella loro azione quotidiana, umane, troppo umane, nelle ragioni che motivano quell’azione. La Norimberga delle stelle e delle strisce si avvicina.

Fabrizio Pasqualini