Questo mondo ha le sue notti e non sono poche”. La citazione di San Bernardo di Chiaravalle è il simbolo della conferenza di apertura tenuta presso la Mole Antonelliana dal professore Alessandro Barbero, ordinario di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale. Nel pieno della pandemia causata dal coronavirus, a dieci giorni dall’inizio della cosiddetta Fase 2, il Salone Internazionale del Libro di Torino ha aperto le sue porte che, almeno per questa edizione, saranno virtuali. La riflessione del docente parte dalla considerazione che storicamente gli esseri umani hanno cercato di prevedere il loro futuro utilizzando gli strumenti a loro disposizione: dall’osservazione del volo degli uccelli, alla lettura della Sacra Bibbia, all’interpretazione dei flussi economici. Tuttavia, prevedere il futuro può essere difficile se non impossibile e di conseguenza l’importante è sapervi reagire. Allora, come ha reagito l’umanità alle grandi epidemie del passato? Nel II secolo d.C. l’Impero Romano dovette affrontare la peste Antonina (dal nome della dinastia regnante) che “svuotò i campi, le città, le caserme”, precisa Alessandro Barbero. Marco Aurelio comprese in quel frangente l’importanza del capitale umano e decise di aprire le frontiere ai popoli barbari favorendo l’immigrazione verso l’Impero. Di nuovo, l’epidemia di peste raccontata dal Boccaccio che colpì l’Italia nel 1348 produsse un tracollo demografico e si ripresentò ciclicamente ogni quindici anni tanto che agli inizi del 1400 la popolazione era numericamente dimezzata rispetto a cinquant’anni prima. In questo caso, furono adottate misure non molto diverse da quelle a cui stiamo assistendo: si chiudevano le porte delle città, si isolavano i malati nelle loro case, si limitavano i commerci. Oggi, nel 2020 gli Stati di tutto il mondo sono nuovamente costretti ad anteporre l’emergenza sanitaria alle questioni economiche, individuando nel nuovo coronavirus una minaccia comune e prioritaria. Alessandro Barbero conclude la sua lectio chiedendosi come cambierà la mentalità umana di fronte a un evento così drammatico ed inatteso. Dovremmo confidare in un rinnovamento, una ripresa come quella dell’Italia degli anni ’50 del Novecento. L’Italia che Gaetano Salvemini al suo ritorno dall’esilio cui era stato costretto per sfuggire alla dittatura, descrisse come un “formicaio umano” per l’operosità che la contraddistingue e che è da sempre il motore del suo fiero risollevarsi. 

Giacomo Bosco e Luca Pasin, Liceo Alfieri, Torino