“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.” -Italo Calvino, le città invisibili.
Samantha Cristoforetti, astronauta e prima donna nell’equipaggio dell’ESA, riprende le parole di Calvino per raccontare l’esperienza vissuta durante il suo soggiorno nella Stazione Spaziale Internazionale e parlarci di come viene vista la terra da 400 km di altezza. Il suo percorso, un lungo apprendistato come astronauta ma anche come donna ed essere umano, ha trovato compimento nello spazio.
Nell’anno trascorso a bordo della Stazione ha riscoperto l’essenzialità, “l’irrilevanza senza peso degli affari personali”, come lei stessa cita “dedicarsi a una missione molto più grande di te rende facile svestirsi delle cose non essenziali” aggiunge, facendo un paragone con la pandemia globale che ci affligge e instaurando una sorta di parallelismo tra la vita di un astronauta in orbita e quella di chiunque in questo periodo.
Il rapporto tra la vicinanza e la lontananza non è visto dalla Cristoforetti come un conflitto, ma come un dialogo grazie al quale, paradossalmente, possiamo sentire vicine persone di culture diverse dalla nostra. I 400 km che separano la Stazione Spaziale Internazionale dalla terra lasciano un amaro senso di lontananza, ma rappresentano anche un abbraccio all’intera sua superficie ripetuto ogni 90 minuti, cioè il tempo necessario per compiere un’orbita.
Esiste dunque una città delle nuvole o le possiamo chiamare così solo noi che ci stiamo sotto?
Esse hanno sempre lo stesso nome, sono l’incarnazione del vento e dell’energia e acquistano forma nello spazio. Dalla potenza distruttiva ben visibile dei cicloni alle nuvole oblique o verticali dell’alba e del tramonto, le nuvole prendono la sostanza del vento e possono bloccare la vista della terra.
Samantha diventa perciò la moderna Marco Polo e racconta la sensazione di pace ed eternità che si prova guardando le ampie distese di acqua degli oceani: definisce commoventi i giochi di luce lunare e, provando a immedesimarci in lei, non possiamo far altro che essere d’accordo. In questo scenario quasi idilliaco, la terra diventa un’interruzione di questa pace, con le sue ferite e cicatrici scolpite da fenomeni naturali violentissimi, visibili nella superficie.
Nella conclusione vibra una nota ottimista riguardo al futuro: forse la situazione attuale è un po’ come un viaggio nello spazio: siamo rimasti fermi ma, al ritorno, ci riscopriremo cambiati. Troveremo quindi un nuovo equilibrio, basandoci sulle cose essenziali e, forse, riuscendo a migliorare un mondo già cambiato.
L’intervento di una persona già abituata ad una lontananza dalle altre persone arricchita da visioni così mozzafiato ed esperienze straordinarie, non può fare altro che insegnarci che la vita è solo una questione di prospettiva.
Marco Piccinin, Valentina Nachira
Liceo scientifico Michelangelo Grigoletti, Pordenone
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