Isolamento. Nei giorni in cui siamo costretti a casa, il Salone del Libro propone il racconto di coloro che si sono estraniati volontariamente dalla società e dalle grandi città. Gabrielle Filteau-Chiba, autrice canadese che ha sperimentato di propria iniziativa il ritiro in un rifugio del Québec, è intervenuta in compagnia di Paolo Cognetti, recentemente avuta un’esperienza analoga sulle Alpi. In occasione della presentazione del suo libro Nella tana edito da Lindau, nel quale la protagonista sceglie di interrompere i ritmi frenetici della vita cittadina e di ritirarsi nei vastissimi boschi che ricoprono il Canada, regalando maggiore respiro agli avvenimenti che si susseguono nel corso della propria vita, l’autrice racconta la propria esperienza di isolamento sociale.

Al centro della riflessione è dunque la solitudine, che da comune preoccupazione si trasforma essa stessa in una compagna di vita, predisponendo l’uomo a un contatto con la natura sempre più debole con il passare degli anni e destinato ad affievolirsi fino a scomparire. Lontano dal turbinio delle dinamiche economiche e sociali della città, la scrittrice racconta di essersi avventurata in un intimo viaggio alla scoperta di sé e della natura circostante. 

La condizione di isolamento diventa così un’occasione per percepire in maniera più efficace compagnie diverse dal solito, come suggerito da Paolo Cognetti, che paragona il processo di adattamento alla solitudine a quello degli occhi nel passaggio dalla luce al buio profondo o delle orecchie nel passaggio dalla musica amplificata di un impianto stereo ad un  sussurro.

La scelta di isolarsi non resta in fin dei conti un rifiuto della socialità, ma, piuttosto, una condizione che costringe l’isolato ad attendere visite,  in un’ambiente che si addica alla sua interiorità e che sia autosufficiente, moderando così l’ansia di riempire le proprie giornate, fenomeno frequente nella nostra società, così come ci ha dimostrato nella sua massima forma questo periodo di isolamento forzato. Talvolta, sembra infatti sia necessario sperimentare un estremo a noi estraneo al fine di apprezzare profondamente quello che invece è più vicino a noi.

Matteo Sartini e Francesco Vitali, LCS Vittorio Alfieri, Torino