La poesia è per tutti, ma soprattutto per i bambini.

La poesia sollecita a “prendere dal testo secondo la propria misura”, non esiste poesia adatta e non adatta. E’ quel testo preciso che va cercato, senza storpiature, con quelle parole e la condizione primaria per capire il testo è che il testo ci capisca in modo che queste due metà anche distanziate da secoli, da suoni diversi si incontrino, alla scoperta di nuovi mondi. Nel nostro tempo più che mai è necessario leggere la poesia nel contesto scolastico.

Pionieri e grandi fautori di questo progetto sono Giusi Quarenghi, autrice che cerca di portare la grande poesia ai bambini e Franco Lorenzoni, maestro di scuola che più di tutti è testimonianza dell’attività quotidiana con i bambini.

Il tema di fondo sviscerato dagli ospiti, guidati da Eros Miari per il percorso formativo ‘Educare alla Lettura’ a cura del Salone del Libro, è quindi educare alla parola profonda della poesia e la scoperta, attraverso di essa, della propria voce interiore.

Nell’ottica di un bambino le opere d’arte sono vere per metà, serve un’azione per renderle vere, come spiega Alessandra, alunna del maestro Lorenzoni: ‘Raffaello ha fatto veri i filosofi per metà, noi per l’altra metà’. 

Si riscopre dunque essenziale e necessario un lavoro personale sul manufatto culturale, qualunque esso sia, e quindi anche per entrare nella poesia serve aprire una porta. La chiave per aprirla ci viene consegnata sia dal ritmo che dalle libere associazioni. Infatti, il ritmo è insito nella poesia stessa ed indissolubilmente legato a qualsiasi forma di arte, mentre il gioco infinito della libera associazione è ‘il respiro del pensiero’.

E’ indispensabile giocare con la potenza delle immagini poetiche, investire sulla libertà di associazione.  Il maestro Lorenzoni riporta come esempio un’esperienza di classe in cui i bambini, entrando nel gioco poetico, hanno associato le figure omeriche delle sirene a sirene della polizia o dell’ambulanza: immagini di pericolo ai giorni nostri proprio come lo erano per Odisseo e i compagni.

Il problema maggiore della poesia nelle scuole è l’interpretazione di questa legata alle antologie, che troppo spesso vengono seguite fedelmente dagli insegnanti. L’approccio didascalico nella poesia non serve, la svilisce, la snatura.  La poesia è un luogo dove insegnanti e bambini entrano, ma che entrambi non conoscono, come un bosco.

La poesia è anche tempo, come l’amore. Le va riconosciuta attenzione attraverso una densa concentrazione, ma allo stesso tempo va trattata con gentilezza affettuosa, con la leggerezza di un gesto gentile. Richiede anche un tempo dedicato all’ascolto, forma primaria di rispetto tra due metà: l’opera offerta e il soggetto.

Anche la relazione che dà credito è poesia, secondo l’opinione di Giusi Quarenghi, poiché proprio come in una relazione tra soggetti in cui sussista rispetto, ascolto e parità, così la poesia non ammette giudizi, non vi è pensiero giusto o sbagliato e persino quel che è sbagliato, a volte, apre strade segrete. Attraverso un gioco di ruoli, un ribaltamento dei giudizi l’insegnante semina una non-materia come la poesia con cura, giocando con il gesto poetico.

Un bambino che impara la lingua diffonde generosità creativa in ogni dove, la rimette al mondo e la lingua si lascia parlare. Ogni parola, per lui, è una casa con infiniti piani e per poter fare le scale ha bisogno della poesia. La voce dei bambini si espone nella sua nudità che va protetta e aiutata consentendola senza esibizione.

L’obiettivo della poesia è il risparmio, il non far cadere a terra nemmeno una parola e poiché le parole si illuminano quando le possediamo veramente, possiamo esserne anche ricchissimi ma dobbiamo descrivere quell’istante preciso anche con un breve sussurro. Ed è proprio questa la sfida: catturare, con le giuste parole, la fugacità di un’emozione che ci destabilizza per un attimo, facendola diventare esperienza.

La poesia è punctum, citando Barthes nella Camera Chiara, è la ferita, qualcosa che ti colpisce, che ti entra dentro.

La frequentazione di parole importanti, in modo che possano entrare nella memoria, è possibile anche grazie al teatro, uno dei luoghi dove è nata la poesia.  La scuola, spesso, si vergogna a fare questo, raramente è in grado di proporre modalità non canoniche. Le muraglie di interpretazioni create, togliendo la possibilità dell’incontro diretto, rischiano di far arrivare la letteratura liofilizzata, secca.   

Il lavoro di entrata nelle grandi poesie non deve essere nella scuola motivo di timore poiché, spiega Giusi Quarenghi, la poesia è come una bella canzone. Ascoltando una bella canzone, infatti, questa non ci ammutolisce, ma il piacere è tanto che, per omaggiarla, la si canta con la propria voce, la si porta con sé e si continua a darle fiato.  Avere un livello alto di riferimento dà l’idea di quanto sia grande il cammino e contemporaneamente motiva a non sottrarsi, a seminare.

L’obiettivo non è percorrere la strada più semplice, il classico trattino che unisce due punti A e B, ma la strada più lunga di cui non vediamo l’orizzonte.

Chiara Marchesin, Liceo Ariosto -Ferrara