Credo di poter affermare con discreta certezza che quasi tutti i torinesi, e in generale tutti i lettori di La Stampa, conoscono Massimo Gramellini. Un nome sempre presente in prima pagina, in quello che i giornalisti chiamano in gergo “Taglio Basso”, assieme a una scritta blu: Buongiorno. E’ la sua rubrica, venti righe concise ma spesso memorabili, che ci danno una prospettiva critica e personale dei fatti intorno a noi. Di Gramellini conosciamo gli occhi penetranti e l’espressione concentrata, la sua passione per il Toro e che è in grado di dare ottimi consigli in rubriche come Cuori allo Specchio.
Sappiamo ancora che da pochissimi anni il giornalista si è lanciato nell’impresa di scrivere un libro, e ci è riuscito nel 2009 pubblicando con Longanesi il suo romanzo d’esordio, L’ultima Riga delle Favole, la storia di un uomo in fuga dall’amore che grazie agli esercizi in una “palestra interiore” , Le Terme dell’Anima, ritrova sé stesso e la gioia di vivere. Un libro tutto basato su similitudini azzeccate e metafore verosimili, con forte coinvolgimento emotivo, ma forse un po’ difficile da seguire per chi è abituato a romanzi d’azione.
Nel 2012 scopriamo un tratto fondamentale della sua storia, che lui stesso ignorava fino a poco tempo fa: la verità sulla morte di sua madre, avvenuta quando aveva appena otto anni. Verità uscita quarant’anni dopo da una busta di carta marrone. E da questa rivelazione nasce in Gramellini l’urgenza di raccontarsi, nel suo secondo libro, sempre edito da Longanesi: Fai Bei Sogni.
In questo romanzo autobiografico ripercorriamo le vicende di un bambino lucido e critico, di un ragazzo incerto, di un uomo che ha paura di amare e un mostro interiore di cinismo a fargli compagnia. Una vita che lui stesso definisce “passata cercando di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo”.
Con una prosa scorrevole ma mai banale, costellata di autoironia e personaggi assurdi, ci tuffiamo nella mente e nel cuore di un uomo di grande intelligenza, ma forse incapace di distruggere il velo di cinismo, che nella sua mente si chiama Belfagor, come il fantasma del Louvre. Ne emerge una personalità intricata, ma con un’incredibile visione dei contorni del mondo intorno a sé.
Consiglio questo libro a tutti, senza eccezioni, e non per un motivo preciso. A mio avviso è un romanzo che avrà una funzione diversa per ogni suo lettore. A me per esempio è stato confermato che i bambini sono dotati di una logica talmente priva di pieghe da far impallidire un matematico. Che se ci nascondiamo dentro a un guscio ci lasciamo sfuggire la bellezza della vita, e o sconfiggeremo il nostro mostro o sarà lui a inghiottirci completamente. Che il dolore non deve renderci più forti, ma soprattutto più sensibili.
E per voi, che funzione avrà?
Giulia Cibrario, Redazione FuorLegge
[Fai Bei Sogni, Massimo Gramellini, Longanesi]
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