“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era cosí recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.”

Macondo è una cittadina, un microcosmo che spiega il mondo, che nel suo piccolo contiene tutto quello che l’uomo può esprimere nel corso delle generazioni e delle esperienze. In Cent’anni di solitudine la vita è un cerchio, un susseguirsi di vicende in cui il tempo ha un ruolo marginale. Passato, presente e futuro si intrecciano, si rincorrono senza prevalere. Dal nulla la piccola cittadina di Macondo è nata ed il nulla stesso incombe sulla sua fine.

La famiglia Buendìa, fondatrice e guida di Macondo, è inserita da Marquez in un contesto a metà tra il sogno ed il reale,  tentando di fuggire per generazioni alla triste ed assurda paura di un figlio con una coda di maiale. Famiglia di eroi e condottieri solitari che vanno incontro ad un’inevitabile sconfitta, combattendo per ideali in cui, con il passare degli anni, nemmeno si riconoscono più. L’interprete principale non può che essere Aureliano Buendìa, il primo uomo nato a Macondo, colui che promosse trentadue insurrezioni senza riuscire in nessuna, che ebbe diciassette figli maschi e glieli uccisero tutti, che fuggì a quattordici attentati e a un plotone di esecuzione per finire i suoi giorni chiuso in un laboratorio a fabbricare pesciolini d’oro.

Cent’anni di solitudine racchiude le virtù e le debolezze dell’uomo, il passato, presente e futuro, la vita e la morte, l’inizio e la fine. Tutto concentrato in una stirpe che rappresenta molto di più di quel che può sembrare,  in un contesto limitato e al tempo stesso infinito per possibilità di espressione, in cui tutto è narrato con una magia ed un’inventiva sostenuta da un umorismo sottile e profondo che ci fa riflettere su ogni singolo avvenimento o situazione, reale o meno.

Tutto si muove verso un obiettivo predestinato e Marquez, con un’abilità da mastro burattinaio, muove le pedine all’interno della sua scacchiera con un’immaginazione ed un linguaggio tali da rendere tutto una fiaba. Crea Macondo, gli dona forza e invenzioni all’avanguardia, lo accresce e lo corrompe con la guerra ed il potere, lo trasforma in una città degli specchi per poi raderlo al suolo con una folata di vento. Al suo interno si nasce e si muore, ma la sostanza, nonostante le apparenze, rimane uguale e, così come i nomi dei Buendìa, tutto si muove ed al contempo resta fermo, in un tempo quasi “congelato”.

Cento anni sono gli anni in cui la stirpe dei Buendìa dona vita a Macondo per poi dissolversi, cento anni densi, in cui il tempo sembra dilatarsi per lasciar spazio alle vicende. In questi cent’anni la solitudine fa capolino insistentemente nella vita, opprime e persevera, portando alla rassegnazione.                                    E se alla fine mi chiedessero cos’è la solitudine? Io risponderei che può essere molte cose, ma sicuramente la solitudine somiglia ad un luogo dove la vita scorre e si ripete infinite volte, dove tutto resta e nulla se ne parte per davvero, dove i ricordi sono così vivi che fanno rivivere anche i morti. Posso dire che la solitudine è quel sentimento che ha vissuto  Josè Arcadio Buendìa legato all’albero, quella sensazione che ha provato il valoroso Colonnello Aureliano Buendìa concludendo la sua vita fabbricando pesciolini d’oro.

Edoardo Franzoso

Galeotto fu il libro

Liceo Classico “L. Ariosto” – Ferarra