Giacomo Papi scrive con i ragazzi del Liceo Scientifico Peano di Tortona. Ci ha mandato il racconto collettivo scritto con la classe. In una nota ci riassume il metodo di lavoro: “Ti allego il racconto che abbiamo fatto con i ragazzi. Abbiamo costruito trama e personaggi a grandi linee, ognuno di loro ha scritto un paragrafo, li abbiamo un po’ corretti ed editati insieme alla prof e questo è il risultato.”

La redazione ringrazia per questo lavoro di scrittura collettiva che pubblichiamo integralmente. Un ringraziamento particolare per il lavoro enorme e notevole svolto alla classe, alla professoressa e allo scrittore!

ABITUDINI

6.42. 4+2=6. Come ogni giorno della sua vita Q aprì gli occhi. Rimase immobile per qualche istante a non pensare. Girò la testa verso destra. I suoi occhi si fermarono sull’adesivo che da bambino aveva appiccicato sul fianco del comodino. Raffigurava un mondo. Ogni mattina si interrogava sul perché fosse lì, da solo, e non sull’anta dell’armadio insieme agli altri. Forse era un segno, ma non sapeva di cosa. Si identificava con il bambino che abbracciava il pianeta come si abbraccia il tronco di un albero enorme. Lo guardava negli occhi. Sorrideva. Anche Q sorrise. Diede un rapido sguardo alla sveglia. Come sempre erano le 6.51 e si alzò con calma.

Infilò prima il piede nella ciabatta destra e poi l’altro nella sinistra, che era sotto al letto rivolta verso Sud. Si alzò e andò in bagno. Estrasse dalla vaschetta in alto a destra una salvietta profumata forata al centro, la appoggiò sulla tazza. Era una strana abitudine, tuttavia necessaria; infatti, nonostante avesse una mira impeccabile, non voleva lasciare macchie. Entrò in cucina e prese dal frigo due mele rosse, una la mise nella cartella per l’intervallo e l’altra l’appoggiò sul tavolo. Afferrò anche il miele bio, un po’ di latte intero e due fette e mezzo di pane integrale dalla credenza. Amava il cibo bio, si fidava di ciò che la terra produceva, degli uomini non poteva dire altrettanto. Girò il cucchiaino tre volte in senso orario e due in senso antiorario, appoggiò le labbra al bordo della tazza e bevve un lungo sorso. La sensazione del latte che gli scorreva in gola come un fiume in piena era unica e rinfrescante. Finì di mangiare e si alzò. Andò in camera sua a prepararsi. Si vestì facendo attenzione ad abbottonare i bottoni della camicia nel giusto ordine: il primo, poi l’ultimo, il secondo, il penultimo e così via.

Andò in corridoio e senza far rumore aprì la porta della camera accanto: nella semi oscurità tipica delle mattine d’inverno percepì il respiro della donna che 17 anni prima lo aveva messo al mondo. Dormiva ancora. Tutte le mattine passava qualche secondo a osservarla: il suo sguardo protettivo avrebbe voluto difenderla persino dai brutti sogni. Rinchiusa la porta, raggiunse il soggiorno e si avvicinò al suo terrario: era l’ultima cosa che gli rimaneva di suo padre morto anni prima in un incidente.

Lo aveva collocato sopra il mobile di fianco al divano. Era alto un metro. Misurava 50 centimetri in lunghezza e 10 in larghezza. All’interno ci vivevano 169 formiche. 169 perché il padre era morto il 16 settembre. Era un terrario naturale che riproduceva l’habitat ideale per le formiche: vi erano foglie, sassi e terra. Q osservava i cunicoli che le formiche scavavano. Gli piaceva che essi si incrociassero creando forme sempre diverse. Prese un pezzo di pane e lo sbriciolò sulla superficie della terra, in cima al terrario. Le formiche sembravano aspettare che lui, come un Dio misericordioso, le nutrisse, le proteggesse. E lui questo faceva, le nutriva e le proteggeva. Quelle creature rappresentavano nella mente di Q una società perfetta dove ognuno aveva un compito ben preciso e uno scopo comune, ovvero quello di sopravvivere tutte insieme. Le osservò ancora per un istante . Le salutò con un cenno della mano destra. Poi si mise la giacca e uscì di casa.

Faceva freddo e nevicava. L’inverno era cominciato e la sua ansia cominciava a diminuire. Amava profondamente questa stagione. Con la neve e il gelo accanto, sentiva crescere la sensazione di poter dominare il mondo, di poterlo controllare come solo lui sapeva. Dominare: il verbo gli faceva paura. Si sentiva continuamente schiacciato da tutto e da tutti. Aveva l’impressione di essere trasportato dalla corrente della vita e di essere l’unico a sapere nuotare. Era solo nella sua malinconia, ma  consapevole che la sua solitudine era indispensabile al mondo. Mentre camminava, seguiva con lo sguardo le strisce lasciate dai tram e dalle macchine sulla strada. Erano tutte uguali, precise e parallele. Sembravano delle funzioni di un problema d’aritmetica che la natura aveva lasciato a lui da risolvere. La neve si era già fermata anche sul marciapiede. Lo stesso che percorreva ogni giorno. Q stava bene attento a camminare sulle orme lasciate dai passanti. Non voleva uccidere la purezza del bianco perfetto…quella stessa  della sua carnagione. Q non si era mai abbronzato, non aveva mai fatto sport. La sua pelle era immacolata e talmente chiara da contrastare con il rosso dei capelli. Nessuno aveva i capelli rossi nella sua famiglia. Nessuno era alto e magro quanto lui. A volte  immaginava di essere un extraterrestre proveniente da un altro pianeta  arrivato in quella casa per qualche motivo sconosciuto. Lo divertiva. Mentre camminava sul marciapiede l’orologio che portava sempre al polso squillò come un’antica sveglia a carica manuale. Erano le 7.34 e si fermò per attendere il verde all’incrocio. L’orologio era parte di lui. Lo aveva modificato con le sue mani. Adesso era in grado di suonare più volte durante la giornata. Suonava soprattutto per ricordagli le sue formiche. Quelle creature che erano un vera forza della natura. Q si ricordava sempre delle sue adorate creature, sempre prima del trillo dell’orologio. Ma lo faceva suonare lo stesso. Proprio quando lo sentì , mentre camminava, gli venne una fitta al torace, a sinistra. Sul cuore. Si massaggiò lentamente dove sentì male. In quello stesso punto Q aveva una voglia a forma di pugnale con la punta rivolta verso il basso. L’aveva da sempre. Da quando era nato. Nessuno ci aveva dato peso più di tanto, ma a Q adesso dava fastidio. Da un paio di giorni provava dolore proprio in quel punto ogni volta che si fermava a quell’incrocio. Ogni volta che l’orologio suonava. Sempre nello stesso istante.

Ormai conosceva a memoria quella strada. Dopo l’incrocio si permetteva di osservare gli alberi innevati. Q li guardava come un padre orgoglioso del proprio figlio, quasi fosse stato lui stesso a crearli. Dentro di sé il sentimento di onnipotenza e responsabilità cresceva sempre di più. Q continuò il suo cammino  attento a mettere i piedi nelle impronte degli altri che iniziavano ad essere sempre più numerose e che venivano cancellate dai fiocchi che continuavano a cadere.

Arrivato finalmente a scuola, dopo i soliti 15 minuti, Q si sedette nel suo banco contemporaneamente al suono della campanella. La verifica di matematica stava per incominciare ma Q era tranquillo perché aveva già battuto gli occhi 3 volte e sorriso alla sua compagna L. che lo ricambiava sempre con affetto. L, centro dei pensieri di Q, era una ragazza dolce , sensibile e affettuosa. La sua bellezza lo incantava e il suo splendore si rifletteva nei suoi lunghi capelli biondi. Nei suoi occhi Q trovava sicurezza e un posto dove ripararsi dalla routine troppo opprimente. Dopo la prima mezz’ora aveva già effettuato il 60% della prova e quindi si sentiva nel suo standard di prestazione. Amava i numeri e la loro simmetria in particolare. Si sentiva a suo agio con questi, ma si appassionava anche alla grammatica, così ricca di regole e di logica. Era sempre andato bene a scuola e anche quest’anno confidava nel massimo dei voti.

Suonò l’intervallo. Lentamente Q scostò la sedia dal banco. La scostò di 15 centimetri esatti e, con altrettanta lentezza e tranquillità, tirò fuori dallo zaino una scatolina bianca con un coperchio rosso. Sull’etichetta era scritto “solo frutta”. Aperto il coperchio vide la sua mela rossa, come sempre, così perfetta e liscia da sembrare finta. Dopo essersi assicurato di non essere osservato, incise con un coltellino portato da casa la buccia e la polpa in modo tale da ottenere quattro parti uguali. Successivamente con uno stuzzicadenti, staccò ogni fetta dal torsolo della mela, gustandosela. Appoggiò la vaschetta sulla mensola della finestra. Finita la mela ripose il torsolo nella vaschetta ma, prima di chiuderla notò una piccola cosa: sul fondo della sua vaschetta  un  puntino nero  macchiava la candida plastica. Avvicinò la testa. Vide che la macchia nera era una formica. “Forse una formica del mio terrario” pensò “forse entrata prima di chiudere la vaschetta a casa”. L’angoscia lo assaliva. Le mani gli sudavano. Il respiro gli si accorciò. Il battito del cuore continuava ad aumentare. La formica nella vaschetta era morta. Quello che lui pensava un mondo perfetto e senza difetti, si rivelava imperfetto e macchiato dalla morte. Pensò ad una coincidenza e cercò di non dare molto peso al fatto: tolse la formica dalla vaschetta. Riposto il torsolo della mela, si alzò dalla sedia.

Si voltò e camminò lentamente cercando di non calpestare le linee delle piastrelle, il piede destro posizionato al centro mentre con quello sinistro si divertiva ad utilizzare la linea come asintoto. Si diresse verso la porta. Vide gli alunni muoversi in massa verso le macchinette e li disprezzò perché mangiavano. Suonò la fine dell’ intervallo e, facendo lo stesso percorso di sempre, tornò al posto. Si sedette con le gambe unite, formando un angolo di 90°. Tirò fuori matita, gomma, penna e cominciò a disegnare. In qualunque posto si trovasse Q disegnando era in grado di isolarsi completamente, da tutto e da tutti. Era il suo momento preferito,  un atto che lo rendeva  felice.

Impiegò 4 minuti esatti per disegnare uno stupendo cielo stellato con il sole al centro ed intorno ad esso, perfettamente disegnati, i nove pianeti del sistema solare: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Mentre Q era impegnato nel suo lavoro la sua compagna L notò il disegno e subito gli fece i complimenti. Q divenne tutto rosso e dopo un momento di esitazione, emozionato, le rispose ringraziandola, dopodiché mise il foglio sotto il banco: 2 minuti dopo entrò la professoressa e come al solito Q si alzò per ultimo dalla sedia  scandendo in mezzo al silenzio un sonoro   ” buongiorno professoressa “. Poi si risedette. Le ultime due ore passarono velocemente. Appena finita l’ultima lezione, Q si alzò e per primo uscì dalla classe dirigendosi immediatamente all’uscita della scuola. Quel giorno Q non prese la consueta via di casa ma, sentendo la voce di L che lo chiamava, decise di fermarsi a parlare con lei e un gruppo di ragazzi.

Questa sua scelta insolita fu destinata a cambiargli la giornata. Eppure tutto sembrava procedere normalmente. Forse quelle di Q erano solo futili fantasie e la sua routine non influiva davvero sull’andamento del mondo. Forse. Invece sì. Entrato in casa, infatti, qualcosa era cambiato: contando i soliti 6 passi, arrivò in salotto e qui notò una cosa alquanto strana e inquietante.

Il suo piccolo impero di formiche era lì, davanti a lui. Lo aveva visto crescere da quando aveva 5 anni e mezzo, conosceva perfettamente le abitudini di quelle creature, tutti i più piccoli mutamenti. Ma quel giorno al di là del vetro esse percorrevano i cunicoli in modo eccessivamente frettoloso. Come se fossero entrate in panico. Guardando meglio Q si accorse  che una delle sue formiche si muoveva in modo strano, col bacino quasi immobile, peso morto per le zampe anteriori. Come se fosse stata schiacciata.

La formica era in agonia, lo capì subito. Poi notò qualcos’altro : una piccola macchia di colore verdastro si era creata in un angolo del suo terrario. Pensò subito ad una muffa, anche se non aveva mai visto nulla di simile in un ambiente popolato da formiche. Era spaventato, la perfezione di cui quel mondo era sinonimo, stava crollando pezzo dopo pezzo. In preda alla disperazione, andò al PC per fare una ricerca sui  forum che frequentava. Qualcuno sapeva se si fossero mai verificati casi simili al suo? Cosa poteva aver causato tutto ciò? Accese il computer , digitò la password. Passò qualche secondo e ….lo screensaver, una foto del suo terrario, non c’era più, al suo posto un anonimo uniforme colore blu con le icone  sparse a caso e non secondo l’ordine alfabetico che lui aveva dato. Non fece in tempo a chiedersi perchè, quando sul desktop comparve la scritta “Errore di sistema”. Cos’era  successo prima del suo ritorno a casa? Chi poteva aver ottenuto l’accesso ai suoi dati? Assillato da queste domande, improvvisamente stanco, si allontanò dal monitor e si buttò sul divano. Si mise a fissare il soffitto ripensando a quello che era successo, ma ci riuscì per poco. Non i soffici accoglienti cuscini lo accolsero, ma molle rigide e pungenti che gli si piantarono nella carne, sulla pelle. Si girava e si rigirava. Quel divano lo infastidiva e quei pensieri lo angosciavano. Non ce la faceva più a stare lì. Preso da un’ira che neanche lui riusciva a spiegare, corse in camera. Salì velocissimo le scale senza però contravvenire al suo solito sistema, appoggiando per primo il piede destro facendo attenzione a finire con il sinistro e occupando il centro dei gradini. La foga era troppa e, nonostante la sua attenzione, si sbagliò: sull’ultimo gradino inciampò e cadde…sul piede destro. Arrivò in camera, si gettò sul letto a faccia in giù e premette il viso sul cuscino, poi si girò su un lato, chiuse e riaprì gli occhi. Lo sguardo, ancora annebbiato, gli cadde allora su una cosa, una piccola cosa sul suo comodino, che era rimasta perfetta al suo fianco per 13 anni, da quando ne aveva solo 4.  1+3=4.  Il suo adesivo del mondo si stava staccando.

Non poteva essere vero. Non aveva mai pensato a cosa potesse significare modificare le sue piccole ed impercettibili abitudini. Ma non era possibile che tutti questi insignificanti disastri, per lui enormi, fossero davvero un effetto della sua routine. Nel profondo aveva creduto fossero proprio i suoi gesti a far andare avanti nel modo giusto il mondo, ma poi si era convinto poco alla volta che in realtà fosse un’illusione della sua mente e che tutto girasse anche senza di lui. E allora come mai tutto questo? Le formiche, il computer, il divano. Non potevano essere solo coincidenze. E ora anche il suo adesivo, era come se il mondo si fosse staccato dal suo universo, tutto stava andando a rotoli.

Rimase a lungo a contemplare quel lembo scollato. Scoprì che anche l’estremità opposta si stava impercettibilmente staccando dal legno del comodino. Si immobilizzò, quasi non respirava. Dunque per tutti quegli anni egli era stato il Demiurgo? un Dio potente ma inconsapevole e per questo aveva commesso errori?  Pensò  che erano stati proprio i suoi gesti, che molti avrebbero definito maniacali, a fare andare avanti il mondo nel modo corretto. Adesso lui sapeva, ma non voleva rivelarlo. Probabilmente non lo avrebbero creduto e lo avrebbero deriso, rovinando tutto. L’universo sarebbe immediatamente uscito dai propri binari. Un improvviso insolito calore gli salì alle guance e imporporò il suo viso, le orecchie ronzavano.

All’improvviso le pareti della stanza iniziarono a tremare, si udì un forte boato e rumore di vetri che andavano in frantumi. Allora era così che avvenivano i terremoti…? Q si alzò dal letto, insolitamente tranquillo, e corse fuori di casa. C’era altra gente per strada, molti erano in preda al panico. Q invece era calmo, con i nervi saldi: in qualche modo quel terremoto, lui, Q, lo stava aspettando. Aveva la sensazione di poter controllare ciò che accadeva. Nulla avrebbe più potuto sopraffarlo, annientarlo. Sorrise. Pensò che il terremoto era solo l’inizio.

Quindi con la stessa tranquillità con cui era uscito rientrò in casa. Afferrò la maniglia con la mano destra e spinse la porta con la sinistra. Si avviò verso la sua camera. La porta era spalancata. I fogli e i libri che di solito erano posti sullo scaffale, in ordine di altezza, erano sparsi ovunque, i vetri della finestra erano andati in frantumi, le ante dell’armadio  aperte, la collezione di soldatini di plastica era caduta sul pavimento nel disordine più totale, ma una cosa in particolare lo spiazzò completamente: l’adesivo si era staccato del tutto.  Lo raccolse e rimase lì, immobile, a fissarlo.

Poi  corse fuori in strada: l’improvviso silenzio lo aveva distolto dai suoi pensieri. Tutte le persone che poco prima correvano e urlavano come impazzite per il terremoto erano sparite, la strada era deserta.  Q,  come se niente fosse successo, si mise a camminare senza sapere dove stesse andando. Un piede dopo l’altro, superando come un automa le macerie che ricoprivano la strada, teneva gli occhi incollati all’adesivo. D’un tratto, dall’altra parte della strada vide un uomo molto anziano che gli faceva segno di avvicinarsi.

Era alto con barba e capelli lunghi, candidi come la neve, aveva gli occhi molto piccoli, il naso pronunciato e indossava abiti eleganti di colore nero.

Q non riconobbe  l’anziano, però aveva la sensazione di averlo già visto da qualche parte. Forse il giorno prima nel negozio di animali dove si era recato per comprare il necessario per le sue formiche? o forse lo aveva incontrato al supermercato….

Q attraversò la strada incuriosito. Ora non guardava più l’adesivo ma il vecchio, intensamente. Lo sguardo dell’anziano invece era posato sull’adesivo che  Q  teneva tra le mani. Alzò lil viso, per un attimo i loro occhi rimasero fissi gli uni sugli altri. Q si decise a parlare per primo: “Cosa sta succedendo? Chi sei?”. “Vieni e ti racconterò la tua storia”. Nonostante si sentisse ancor più confuso, Q seguì con decisione l’anziano, sperando dentro sé che finalmente avrebbe trovato delle risposte.

“Credo che tutto questo  succeda per colpa mia”, Q confidò al vecchio. La risposta dell’uomo non si fece attendere: ” Sei molto più importante di quanto tu possa credere, caro ragazzo. È grazie a te che il mondo può sopravvivere”. Q ascoltò quelle parole tenendo stretto nella mano destra il suo amato adesivo. ” Quel ragazzo che abbraccia il mondo nell’ adesivo sei tu, devi proteggerci. L’adesivo ti é stato donato per ricordarti il tuo compito” disse il vecchio. Q continuò a camminare ammutolito dallo stupore. “È bastata qualche scossa di terremoto- disse l’anziano signore – per far spaventare la gente, hai notato?”. Q si girò a guardare la strada dietro di lui per constatare la cosa ma quando si voltò nuovamente, il vecchio era sparito.

Q era confuso. Scosso. Rientrò lentamente a casa. Le parole dell’anziano continuavano a risuonare dentro di lui. Alzarsi ogni giorno nello stesso modo, fare sempre lo stesso percorso o dormire sempre nella stessa posizione determinava realmente l’andamento delle giornate? Un passo con il piede destro e uno con il sinistro, sempre evitando di calpestare le linee delle piastrelle, ma appoggiando rigorosamente il piede sul centro dei gradini, dunque non era maniacale fissazione, ma necessità superiore? Niente avveniva per caso. Solo ora comprese che il suo  ruolo era essenziale. Mentre era immerso in questi pensieri, si scatenò una forte bufera di vento accompagnata da un’incessante pioggia. Era impossibile rimanere saldi al suolo. Gli alberi si spezzarono. La natura perdeva armonia e bellezza così come ogni cosa perdeva la sua originaria posizione. Case scoperchiate, come bocche prive di denti, spargevano tegole e mattoni sull’asfalto. Le automobili galleggiavano come imbarcazioni sulle strade trasformate rapidamente in torrenti. La gente ormai si era rifugiata in casa e anche Q assistette dalla finestra a questa terribile apocalisse. Rimase immobile senza avere la forza di agire. Finalmente si scosse da quel torpore: doveva intervenire, era lui il demiurgo,  prima che fosse troppo tardi. Un passo dopo l’altro, prima il sinistro poi il destro, questa era la formula. Si mise a camminare per casa con quel sistema, come una marcia propiziatoria. Lentamente il vento si calmò e la pioggia lasciò il posto ad un pallido sole. Q cadde stremato a terra.

Diciassette anni sono pochi per decidere cosa fare della propria vita, figuriamoci pensare di poter influire sull’umanità. “Tutto dipende da me”. Non faceva altro che ripetersi questa frase. Prese un lungo respiro, aprì la mano e  osservò ancora una volta l’adesivo ormai tutto sgualcito. Con uno sforzò si alzò, appoggiandosi sul gomito destro e facendo leva sulla gamba destra. Aprì la finestra di pochi centimetri, il caos della stanza lo soffocava. Sapeva cosa fare. Si sedette alla scrivania, prese una matita e un foglio bianco, cercò di spiegare, stirandolo  con le mani, il suo adesivo così da poterlo copiare. Con la matita iniziò a tracciare le linee di quel piccolo mondo ma un’intensa folata di vento particolarmente violenta, spalancò la finestra, sollevando fogli e polvere in un vortice inarrestabile che portò via il suo adesivo. Rimase immobile con la matita in mano. Per la prima volta nella sua vita si sentì impotente. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, non riusciva a pensare a niente. Era ormai buio. Il sonno lo prese, un sonno  pesante, di piombo.

Quando aprì gli occhi si ritrovò tutto bagnato di sudore. Era successo davvero? Il terrario, il terremoto  e l’incontro con il vecchio?…o era un incubo? Era certo di essere al sicuro? Spostò lo sguardo verso gli oggetti della sua camera. Regnava il caos. Era tutto vero.

Si alzò dal letto, scese al piano inferiore, dirigendosi in cucina e, con calma, si preparò da mangiare. Prese due fette di pane: lo sguardo corse alla dispensa cercando qualcosa…scelse la calorica industriale nutella: nessuna esitazione, nessun ripensamento. Ora aveva sete. Guardò il frigo: il contenuto si era riversato in terra. Q con mano sicura afferrò una bottiglia di succo di frutta del discount e bevve avido lunghi sorsi direttamente dalla bottiglia.  Non era mai successo prima d’ora. Tutti quei movimenti attenti e abituali, li aveva dimenticati. Non si preoccupava più di non calpestare le fughe delle piastrelle, di mangiare sano. Si sentiva libero, rilassato e senza preoccupazioni. Era diventato una persona nuova. La responsabilità dell’intero universo – tutto il suo peso, tutti i suoi pianeti in movimento, le infinite stelle, i gas, le galassie, l’acqua degli oceani –  non gravava più sulle sue spalle: egli ormai lo dominava.

Si vestì in fretta, stava per uscire, quando notò con la coda dell’occhio il terrario. Lo prese, lo portò fuori e lasciò libere le formiche sopravvissute. Poi si diresse verso scuola. Sulla strada, si guardò intorno nella speranza di rivedere l’anziano e ringraziarlo per avergli aperto gli occhi. Il terremoto aveva causato molti danni ma Q sperava ancora di sistemare ogni cosa. Giunse all’incrocio e imboccò il viale alberato.

Il vecchio era lì, come ad attenderlo, lo fissava, lo fissava  intensamente dall’altra parte della strada, immobile. Q attese che il semaforo diventasse verde e lo raggiunse. Aspettò che il vecchio facesse qualcosa, ma nulla, si limitava a fissarlo.  Q stava per proseguire oltre il vecchio, quando l’orologio iniziò a suonare: erano le 7.34. Allora  l”uomo,  lo chiamò, gli si avvicinò . Due parole, quasi incomprensibili, furono dette; poi una pugnalata all’altezza del cuore, là dove aveva quella strana voglia….

Il ragazzo cadde pesantemente a terra; nella sua testa passò in un attimo tutta la storia della sua breve,  intensa vita, ma soprattutto le vicende degli ultimi due giorni. Cosa era successo? Come era successo?  Ma soprattutto chi era lui? Questo era ciò che lo tormentava e proprio non sapeva darsi una risposta: un piccolo, ma potente dio in grado di governare il mondo oppure un semplice ragazzo schiavo del mondo stesso?

Rimasero domande senza risposta.