Scrittura di un memoir #1

Non puoi farne a meno, continui a ripensare a quel romanzo. L’hai letto d’un fiato e i personaggi ti sono rimasti impressi nella mente. Sfogli rapidamente il libro, capitolo per capitolo, ognuno dedicato ai ricordi di una figura diversa, e rivedi Willy, Ruth e Georg. Poi il pollice inciampa in una pagina, una qualsiasi, e ritrovi un quarto nome, Gerda Taro. Giusto, la protagonista, o, perlomeno, il centro focale delle memorie di tutti i personaggi. È stata una grande fotografa, morta nel 1937 mentre documentava la Guerra di Spagna. L’avevi dimenticata, perché nonostante il romanzo racconti la sua vita, tu non conosci Gerda. Hai avuto modo di scoprire cosa il suo incontro abbia portato nelle vite di Willy, Ruth e Georg, ma, per quanto ti riguarda, Gerda Taro rimane una sconosciuta, il riverbero di una vita, una storia che ti è giunta per passaparola.

Beatrice Manetti


La professoressa Manetti è da poco rientrata in casa. Indossa qualcosa di comodo, si prepara una tazza di tè e accende il computer. Lungo il fiume di cartelle e documenti si fa strada la notifica di una nuova e-mail. Manetti sorride e si volta come per cercare qualcuno. Sul comodino, in cima a una pila di libri, c’è un romanzo intitolato
La ragazza con la Leica. «È arrivato il primo contributo scritto» dice ad alta voce.

«Pronto?» aveva risposto una voce femminile calda. «Sono la professoressa Beatrice Manetti, dell’Università di Torino». «O certo, per l’adozione!». Era incominciato tutto con quella telefonata. Manetti aveva avuto il suo numero da uno degli organizzatori della Fiera del libro e non aveva esitato a chiamare. Bisognava mettersi subito all’opera per preparare gli incontri.  

Erano già le 14.15. Tutta trafelata, la professoressa Manetti entrò in aula 16; dopo aver appoggiato alcuni testi sulla cattedra e recuperato il microfono dall’armadietto, iniziò la lezione. «Buongiorno a tutti. Dunque, dov’eravamo rimasti? Ah, sì, abbiamo concluso il discorso su L’abusivo di Franchini. Bene, oggi allora parliamo di Helena Janeczek, autrice italiana di origine ebreo-polacca. In particolare, vorrei che leggeste Bloody Cow, un testo inizialmente ideato come epilogo morale del libro Cibo…». Quell’anno Manetti aveva deciso di dedicare il corso di Magistrale alla narrazione ibrida novecentesca, quella non ben definita, al confine tra fiction e non-fiction, e dunque come poteva non citare Helena Janeczek, la cui scrittura oscilla tra esperienze personali, eventi storici e trascrizione di ricordi altrui?

Ancora una volta, la professoressa Manetti stava attraversando di corsa il corridoio. Erano le 14 passate di un giorno di primavera, o meglio, di un giorno della sessione di aprile. Entrò in aula 16 dando il buongiorno a tutti gli studenti presenti e posò una scatola piena di libri sulla cattedra.  «Come avete letto sulla locandina, quest’anno la Fiera del libro ha dato anche all’Università di Torino l’opportunità di aderire al progetto Adotta uno scrittore o, nel nostro caso, una scrittrice. Vi distribuisco subito il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica. Dovreste leggerlo entro il 23 aprile, quando ci sarà il primo incontro con l’autrice. La conoscete già? Alcuni di voi sì, li riconosco, hanno seguito il mio corso dello scorso anno, quindi hanno già letto qualcosa di suo. Gli altri?».

Amedeo Bova

 

23 aprile. Com’era possibile che fosse ancora una volta in ritardo? E dire che quel giorno era uscito di casa con due ore di anticipo! Amedeo aveva quella strana abitudine: quando faceva bello, andava a leggere al parco – un po’ come tutti – ma lo faceva passeggiando. Si trattava di un vizio che aveva preso in Triennale, durante una sessione di luglio, quando il cielo era troppo limpido per restarsene chiusi in casa ma l’imminenza degli esami esigeva ore di studio. Quel 23 aprile, c’era un caldo estivo. Amedeo aveva ancora da leggere l’epilogo del romanzo e il tempo si prestava bene per una camminata fino a Palazzo Nuovo. Procedeva percorrendo il lungofiume, ma ad ogni passo rallentava un po’. Era come se seguisse il ritmo del romanzo (dev’essere difficile cercare di andare avanti seguendo un testo che è un continuo voltarsi verso il passato). Lesse le ultime pagine quasi correndo, per non tardare troppo. La ragazza con la Leica si chiude in modo molto simile al suo inizio: osservando alcune fotografie. Il soggetto ritratto nelle foto finali è colei che ha scattato le foto descritte nel prologo: è Gerda Taro. Anche alla conclusione del libro si ritorna da lei, si ripercorre nuovamente parte della sua vita per poi seguire una valigia che nel tempo si è fatta portatrice della sua storia, delle sue foto. Dopo aver letto l’ultima frase, Amedeo guardò ancora una volta il viso di Gerda, poi chiuse il libro ed entrò in aula. Al tavolone, la professoressa Manetti era insieme a una donna dagli occhi vitrei e i capelli scuri, con alcune ciocche verdi pettinate all’indietro con un paio di occhiali da sole: era Helena Janeczek. «Chissà se ha un accento particolare!» chiese Amedeo mentre si sedeva vicino a Camilla.

Camilla Sguazzotti

Era di nuovo il momento delle domande. Il giorno prima, al precedente incontro, Camilla non aveva alzato la mano, frenata dal suo solito attimo di timidezza. Se lo ripete sempre, di buttarsi, eppure a volte esita lo stesso, corre il rischio di perdere un’occasione pur di avere quel momento in più di riflessione che la fa sentire sicura e le permette di valutare tutte le variabili. Era trascorsa un’intera notte, ci aveva pensato bene e sapeva cosa le volesse chiedere. In piedi al centro della sala, Camilla accese il microfono: «Vorrei sapere di più sul capitolo di Ruth e sulla sua figura di mediatrice…». La sua voce era ferma e composta, sembrava noncurante di tutte le persone che la stavano ascoltando; era focalizzata solo sullo sguardo ceruleo di Helena Janeczek.

Finito il secondo incontro, Camilla torna a casa. È contenta di essersi tolta quella domanda dallo stomaco e di aver ricevuto una risposta molto interessante. Ripensando alla giornata appena trascorsa, disfa lo zaino. Tira fuori il portapenne, il quaderno, la borraccia e poi ecco comparire La ragazza con la Leica. Camilla prende il libro, scorre ancora una volta le pagine e all’improvviso le torna in mente una questione: il personaggio di Gerda, quella presenza che infesta il romanzo senza mai delinearsi. «Magari lunedì prossimo ne parlo meglio con Helena, le esprimo le mie sensazioni da lettrice» pensa, poi però scrolla la testa. «Ma no, basta aspettare». Camilla accende il computer e inizia a scrivere.

Mi affascina scoprire che Gerda non è. Mi spiego: non solo “non è” in quanto non più presente fisicamente, ma “non è” in quanto definibile solo per via negativa attraverso gli atteggiamenti o i caratteri che non le sono appartenuti. La sua figura emerge dall’opera attraverso pennellate discontinue, diffratta come la luce che passa attraverso un prisma.

«In fondo la professoressa Manetti ci ha detto che questo progetto, Adotta uno scrittore, offre agli studenti anche una piattaforma online in cui poter raccontare a modo proprio questa esperienza». Allega l’articolo e lo invia alla professoressa.

 

Scrittura di un memoir #2

Immagina di leggere un romanzo e poi incontrarne l’autrice, anzi, pensa di partecipare a una serie di giornate dedicate a quella scrittrice, durante le quali intervenga lei stessa per raccontare nei dettagli la composizione di quel libro che hai letto. Non ti verrebbe voglia di provare a calcare le sue orme, di divertirti a utilizzare quella stessa struttura del romanzo per raccontare quelle giornate che hai passato ad ascoltarla? Se poi quel romanzo fosse La ragazza con la Leica di Helena Janeczek, allora prenderesti tre personaggi e ne faresti un intreccio di ricordi scaturiti da un pretesto innocuo, diciamo una telefonata, o magari un’e-mail.

Amedeo Bova

I testi sopra sono dei racconti che si ispirano alla Ragazza con la Leica