La Redazione è felice di pubblicare un resoconto dell’adozione finalmente dalle parole di uno scrittore! Spero tanto che gli altri scrittori adottati seguano l’ottimo esempio. Ringraziamenti sinceri dunque ad Andrea Tarabbia e a Fabio Ferrero per la foto, che pubblichiamo a corredo. Buona lettura a tutti!
Sono stato “adottato” dalle professoresse Maria Luisa Gambetta e Antonella Ugo e dagli studenti di due terze dell’istituto IIS Volta di Alessandria: al momento, ho fatto solo due dei tre incontri previsti, perché – per via delle vacanze di Pasqua, dei miei impegni e di quelli delle classi – siamo stati costretti a saltare il mese di aprile. Ci troveremo per un’ultima chiacchierata il 4 maggio, proprio a ridosso dell’incontro corale al Salone del libro. L’istituto Volta non è la prima scuola in cui mi capita di parlare e – spero – non sarà l’ultima: la cosa più grande e più bella che mi è capitata da quando è uscito il mio ultimo libro è proprio il fatto che ho avuto occasione di andare a incontrare i ragazzi delle scuole. Visti il tema e i toni del Demone a Beslan – che non è certo un romanzo per adolescenti – per me riuscire a entrare in contatto con gli studenti è una specie di regalo e una sorpresa. Sono francamente convinto che, se ha senso per uno scrittore andare a parlare in pubblico, è per parlare con loro: solo insieme ai ragazzi si può vedere il futuro (e il futuro, come il passato, è un tempo fondamentale per uno scrittore), solo con i ragazzi ci si può mettere a nudo, raccontare il proprio mondo senza filtri e sentire le loro voci che reagiscono e raccontano il loro; al tempo stesso, nonostante la mia età anagrafica, quando sono in classe mi succede spesso di sentire di farne parte: è come se le cose che facevo, pensavo e fantasticavo al liceo fossero oggi fatte, pensate e fantasticate dalle persone che mi stanno sedute davanti. Ci sono, tra il me stesso di 20 anni fa e loro, delle differenze che sono soprattutto di linguaggio, di slang e di educazione alla multimedialità: tutto il resto, però – le illusioni, la meraviglia, la curiosità, il candore, i sogni, la purezza, la noia – apparteneva (e per certi versi appartiene ancora) anche a me. Per questo, non sento di aver nulla da spiegare o da insegnare, ma posso solo mostrare quello che mi sembra di aver capito da quando non ho più la loro età.
Va da sé che con i ragazzi di Alessandria il rapporto che ho instaurato è speciale: ci siamo visti due volte, di molti di loro ormai conosco i nomi e le aspirazioni; abbiamo anche organizzato, la sera prima del secondo incontro, una pizzata a cui hanno partecipato i ragazzi che potevano, e mi pare di capire che la sera del 3 maggio faremo ancora qualcosa tutti insieme. Essendo di terza, i ragazzi hanno grossomodo 17 anni – sono cioè molto giovani: c’è tra di loro un lettore molto forte, qualcuno che sa come si maneggia un libro, qualcun altro che sta cominciando a interessarsi alla letteratura. Non ho la presunzione di credere che qualche ora passata insieme a me possa avvicinare tutti loro alla letteratura – non è questo il mio obiettivo, del resto – però mi sembra che più o meno tutti siano interessati agli argomenti che propongo o che saltano fuori nella discussione, e che, in generale, siano molto coinvolti quando parliamo di qualche forma di narrazione. Mi piacerebbe che passasse il concetto che tutto è, o può essere, una narrazione, e che la letteratura non è che una delle declinazioni possibili (benché la più nobile) con cui gli uomini si raccontano delle storie.
Ho cercato da subito di non pormi come “lo” scrittore (non sento del resto di essere quel “lo”), ma semplicemente come uno un po’ più vecchio di loro che ha fatto delle cose e che ha qualcosa da raccontare sul mondo delle parole. Sono stato molto contento del fatto che tutti, da subito, mi abbiano dato del tu e non abbiano provato imbarazzi quando facevo loro delle domande o chiedevo di raccontare a me e alle classi qualcosa che li riguardava. C’è spesso un’idea sacrale, impettita della letteratura e di chi la fa, ci sono una distanza e una deferenza che io amo demolire: nel primo incontro, infatti, abbiamo parlato della figura dello scrittore, ci siamo confrontati su chi è e che cosa fa. Umanizzare una forma di espressione è un modo per renderla vicina a chi ascolta. Ho sempre notato che i ragazzi sono molto interessati alla vita quotidiana di uno che scrive libri, ma ne hanno un’idea romantica e, in generale, sopravvalutano i lati economici. Rimangono per questo molto stupiti quando gli si racconta che lo scrittore è una persona normale, che solo in rari casi non è costretto a fare un lavoro qualunque per mantenersi. Credono che l’aver pubblicato un libro, magari con una casa editrice importante, sia qualcosa che cambi la vita in tutti i sensi e dia denaro, popolarità e la possibilità di vivere di ciò che si scrive. Ho raccontato loro la mia vita quotidiana, il mio lavoro di precario nel mondo editoriale: c’è stata anche l’occasione di spiegare come nasce un libro, come funziona la filiera editoriale, di parlare delle professioni del libro. Ci sono dei lavori, nel mondo editoriale, che i ragazzi non conoscono e nemmeno sospettano, ed è molto bello raccontarglieli.
Il secondo incontro è ruotato attorno alle scelte fatte per Uno per venticinque: appartenendo a due classi distinte, in origine i ragazzi avevano scelto due titoli, Il codice Da Vinci e il primo Harry Potter. Dovendo proporre un libro solo, hanno optato per il primo. Ho avuto la sensazione che solo pochi avessero letto i libri, ma che più o meno tutti avessero visto i film. Ho chiesto a ciascuna classe di esporre le motivazioni della loro scelta: quasi nessuna verteva sulla letterarietà delle opere. In un certo senso, la chiacchierata è stata impostata sul tema “Che cosa fa di un libro un buon libro” e sulle ragioni per cui non è detto che un libro di successo sia anche bello.
Nel prossimo incontro mi piacerebbe parlare della lettura e di come uno scrittore sceglie le parole, il tono e il punto di vista con cui racconta una storia. Vorrei leggere dei brevissimi estratti da libri che amo e spiegare perché li amo. Come nei primi incontri, vorrei continuare a tenere il più possibile lontano dal discorso i miei libri: non li hanno letti (non ho chiesto che lo facessero), e non mi interessa annoiarli con i fatti miei o parlando di cose che non conoscono; mi interessa fare un percorso su che cos’è un libro, che cosa vuol dire avere a che fare con esso e perché è bello e, nonostante tutto, ancora necessario, dedicare alcune ore della propria vita alla parola scritta.
Andrea Tarabbia
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