“Bisogna armarsi di parole, che sono uno strumento importante per difendersi nel mondo”. Ecco l’invito che Alessandro Mari ci rivolge pochi minuti dopo l’inizio dell’incontro, tenutosi nello Spazio Book. Rivolgendosi a noi ragazzi con tono molto confidenziale, subito ci dice che il libro L’anonima fine di Radice Quadrata (Bompiani) è nato per colpa nostra, perché spesso si chiede che cosa ci passi per la testa e non riesce a capirci.
L’ispirazione viene dal suo nipotino di tre anni, che un giorno, dondolato dalle braccia dello zio, cerca di ingrandire un’immagine sulla pagina di un quotidiano come se fosse uno schermo touch screen. Ecco che lo scrittore realizza l’importanza della rivoluzione digitale, che rende qualsiasi informazione accessibile in tempo reale. Nato in un mondo di carta, in cui a stento comparivano le prime mail, ne L’anonima fine di Radice Quadrata tenta di guardare il mondo dalla nostra stessa angolazione: eccolo immedesimarsi in Sofia, sedicenne svagata e blogger pungente, che tutto sa, ma di tutto poco. Mentre la ragazzina rappresenta la visione di noi giovani per l’autore, Radice Quadrata è invece Mari stesso, almeno in parte. La non-comprensione tra i due protagonisti della vicenda si traduce in antipatia, che rimane tale se non suscita curiosità. Non ci sono storie d’amore, argomento secondo l’autore abusato nei romanzi per adolescenti; i protagonisti si avvicineranno e si conosceranno a poco a poco, uniti anche da un evento tragico.
Un ruolo molto importante nella storia assume la pioggia, che rappresenta lo stato d’animo uggioso di Sofia e nel tempo stesso la sua corazza, che le permette di farsi scivolare addosso qualsiasi avvenimento. L’assenza dei genitori come punti di riferimento rappresenta la situazione odierna, che l’autore ha constatato in prima persona incontrando molti adolescenti nelle scuole. Mamma e papà sono oggi un “principio di autorevolezza travestito da amicizia”.
Narrando la storia in prima persona, senza lasciare spazio a sé in qualità di autore, Mari sceglie di “scattare una fotografia” dei giovani d’oggi, e non descrivendoli come molti li vorrebbero; “quello – dice – sanno farlo benissimo i giornalisti”. Lo scrittore confessa di aver rubato un po’ della lingua giovanile, per arrivarci in modo diretto, ma di averla anche mischiata al suo linguaggio, per armarci di parole. Il finale aperto, poi, vuole accendere le nostre menti, spingendoci a immaginare come finirà la storia.
Alida Fantino, scuola media Caduti di Cefalonia
Elisa Scovazzi, tutor
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.