In occasione di Portici di Carta, Arturo Brachetti presenta in anteprima il suo romanzo “Tanto per cambiare”, presentato dalla giornalista della stampa Alessandra Comazzi.
Alessandra Comazzi: Il primo romanzo di Arturo Brachetti si intitola “Tanto per cambiare”. Perché questo titolo?
Arturo Brachetti: Perché il cambiamento è stato un tema fondamentale della mia vita. Per rimanere giovani bisogna cambiare, è fondamentale.
AC: Una volta dicevi che non ti piaceva dire quanti anni avessi, mentre adesso non lo nascondi più.
AB: Si è vero, infatti mi hanno bannato su Wikipedia per un periodo. Andavo sempre a correggere l’età sul sito mettendomi 10 anni di più. Invece adesso lo dico. Compio 58 anni. Non si può continuare a nascondere che ho più di 50 anni, soprattutto con gli amici.
AC: Questo primo libro è un regalo che ti sei fatto, ma ti sei anche condizionato nella scrittura…
AB: Assolutamente! Infatti in questo libro non ci sono parolacce, così mia mamma è più contenta. Lei è anche su facebook, e mi controlla i post. (Ho anche scritto una canzone per questo che si intitola “mia mamma è su facebook”).
AC: Parliamo di questo libro che mi permetto di consigliare a grandi e piccini, anche se è un libro per ragazzi. “Tanto per cambiare” parla di un ragazzo di nome Renzo che passa dall’infanzia all’adolescenza. Sappiamo tutti che il tuo secondo nome è Renzo, per cui è automatico pensare che ci sia molto di te in questo libro.
AB: Si è vero, Renzo è in parte simile a me. Le nostre storie sono molto simili. Anche i personaggi c’entrano con le persone che ho incontrato nella mia vita. Ad esempio c’è Ugo, un personaggio “cattivo”, invidioso. Io non ho mai avuto molti nemici, però quelli che ho avuto li ho voluti unire per formare un unico personaggio. Oppure c’è Clod, che è il migliore amico di Renzo e per me lui è un insieme di amici che ho conosciuto e di coinquilini.
Il mio libro serve per dare coraggio ai ragazzi tra gli 8 e i 17 anni a credere nei propri sogni, a non lasciarsi abbattere, anche se si è un po’ sfigati.
Io stesso ho capito che la vera magia era essere accettato, essere visto in maniera positiva dagli altri. E mi travestivo perché mi vergognavo, avevo paura.
Io ho fatto della mia vocazione un qualcosa. A 19 anni sono andato a Parigi a fare un’audizione e da lì è andata avanti. Mi hanno preso non perché ero bravo, ma perché ero l’unico in grado a fare quello, perché sapevo cambiarmi velocemente. Mi hanno assunto come operaio per potermi mantenere di giorno e la sera facevo la prove. Dopo due mesi ho cominciato e sono andato in scena a Pasqua. Per questo il giorno dopo sono andato ad accendere una candela a Notre Dame.
AC: Il bambino che descrivi ha una forza interiore dentro pazzesca, un’evocazione al trasformismo, ce l’ha nel sangue.
Questo libro l’ho scritto insieme al mio collaboratore e l’ho corretto e rivisto molte volte con un mio amico. E ho chiesto loro consiglio: visto che è un libro per ragazzi, Renzo deve avere davvero dei poteri di trasformismo? Alla fine la risposta è stata no, però abbiamo voluto fare in modo che la gente ci credesse davvero quando lo vedeva “trasformato”.
AC: Tu invece ti travesti spesso anche nella vita reale
AB: Si certo! Mi vesto da prete quando c’è la sindone, oppure vado in farmacia a chiedere il viagra. Vestirsi da prete è bellissimo, perché qualunque cosa io dice viene subito travisata. Oppure mi vesto da professore di filosofia a teatro o da rocckettaro per andare in discoteca.
AC: Nel libro vedo che ci sono anche diverse vignette. Come le hai scelte?
AB: Un po’ a caso… Però mi piacciono molto, le ha disegnate un mio caro amico che ha studiato disegno in una scuola in Belgio.
Ce n’è anche una in cui si vede come nasce il ciuffo di Renzo, che somiglia un po’ al mio. Il mio ciuffettino però è nato da Shakespeare, perché interpretavo Puk in “Sogno di una notte di mezza estate”.
AC: Renzo nel libro ha anche un fratello. C’entra qualcosa con il tuo?
AB: Mio fratello è più giovane, ma è invecchiato male, poverino, si è spostato. Allora nel libro l’ho fatto più vecchio di me. Il nostro rapporto è simile a quello che c’è nel libro tra i protagonisti. Senza mio fratello io sarei perduto, probabilmente già in galera. Lui mi ricorda di fare tutto.
AC: cosa si prova ad essere una delle persona più conosciute al mondo, ad avere questa fama?
AB: Io sono contento, però non ci voglio pensare. La vita è così, quando c’è lo spettacolo ricevo 50 telefonate al giorno, ma quando finisce non sento più nessuno. Bisogna abituarsi.
AC: Un’idea che tu hai è quella della formazione, di portare altri ragazzi su questa strada. Vorresti insegnare e formare qualunque?
AB: A me piacerebbe, ma non sono capace ad insegnare. Però ci stiamo lavorando a costruire qui a torino un qualcosa che sia a scopo educativo. È difficile trovare qualcuno che voglia intraprendere l’arte del trasformismo: ci andrebbe qualcuno che abbia della rabbia dentro, un po’ bruttino, insicuro, che voglia trasformarsi come ho fatto io. Oggigiorno la creatività è molto limitata: tendono tutti a copiare gli altri.
Tuttavia Torino è una città positiva, perché è una delle città con il maggiore teatro di strada. C’è sempre qualcuno che vuole sperimentare e mostrarsi in centro, ed è bellissimo.
È stato uno degli eventi più attesi dell’edizione di Portici di Carta di quest’anno e Arturo Brachetti ci ha accompagnati per un’ora con descrizioni del suo libro, racconti d”infanzia e aneddoti di avventure vissute in giro per il mondo.
Camilla Brumat
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