Con il giornalista Stefano Liberti, il regista Andrea Segre e lo sceneggiatore e regista Khalifa Abo Khraisse, al Cinema Apollo si è trattato della “vita quotidiana nella capitale libica in cerca di normalità”.


L’evento inizia con la storia dell’incontro tra Andrea Segre e Khalifa Abo Khraisse. I due si sono incontrati per la prima volta ad un festival di Internazionale e da allora si sono tenuti in contatto fino a realizzare una produzione insieme. Khalifa Abo Khraisse ci racconta la sua vita nella città di Tripoli “un paese così lontano, ma anche così vicino”, tra milizie, cambiamenti di parlamenti, governi e cifre statistiche.
La prima domanda posta al nostro ospite è stata: cosa sta succedendo sul campo politico in Libia? Khalifa risponde che attualmente sono presenti due parlamenti e tre governi, ma il vero comando è nelle mani delle milizie. Non è presente una vera e propria autorità, ma per esempio per poter sapere cosa succede ad un amico o un parente arrestato, bisogna capire quale milizia è coinvolta, per quale ragione è stato arrestato e rivolgersi alla milizia competente, e per far ciò bisogna chiedere molti favori.
In seguito è Stefano Liberti a prendere la parola ponendo la domanda all’ospite riguardo la capacità di movimento e di contatti all’interno del paese. Khalifa ci racconta del drammatico stacco tra l’est e ovest del paese riferendoci il clima di vendetta che scorre tra le due aree geografiche. Inoltre ci racconta del problema che affligge il sud: il regista, che ha dovuto fare un documentario in quella parte del paese, ci confessa di essersi sentito come un turista, ritrovandosi in un luogo completamente diverso da quello che si ricordava. Proseguendo nel discorso ci ha descritto una delle cause di questo cambiamento risalente a prima del 2014. Inizialmente nel sud del paese erano presenti diverse malizie, tribù e milizie religiose opposte tra loro ma, che davano equilibrio alla fascia geografica. Improvvisamente una nuova fazione si infiltra in questo equilibrio, “la Libia è fatta”: questa fazione ha presto preso il comando. Questa storia, a detta del regista, “viene negata”.
La terza domanda dell’incontro riguarda il peso che ha l’Isis in Libia. Il regista ci racconta che si sono sempre visti esponenti dell’Isis camminare per le strade e notizie riferite ai morti per mano di questi. Il governo però ha tenuto nascosto questo fenomeno, fino a qualche anno fa, quando improvvisamente si è iniziato a parlare di Isis. I media ora sfruttano queste notizie per dare sostegno ad una fazione politica rispetto ad un’altra. Il pensiero dell’ospite è quello di evitare questo gioco politico, in quanto è sempre esistito il problema ma solo adesso si accendono i riflettori sulla questione.
La quarta domanda si riferisce in modo generale a come viene vissuta la quotidianità a Tripoli. “Non sai se sarai in grado di sopportare la situazione, puoi saperlo solo che la vivi, se ci provi”, così ha risposto Khalifa. Devi rimanere tranquillo, avere atteggiamenti normali, essere sempre all’erta ed essere pronto ad agire. I cittadini sono forzati ad uscire e a partecipare alla vita quotidiana, quindi bisogna abituarsi a questa vita perché Tripoli è casa tua, non è un viaggio di qualche mese. Dovrai rimanerci per tutta la vita.
Connesso a questo tema è l’uso delle armi in città. Statisticamente circa ogni cittadino possiede un’arma; Il regista dice che sembra di stare sul set di un film, quando invece non lo è. Ci pone l’esempio della mamma di un suo amico, la quale riesce a riconoscere il tipo di arma dal suono dello sparo o dal fumo che fuoriesce dopo lo scoppio. Questo ci fa capire quanto le armi siano presenti e condizionino la vita di ogni cittadino.
Presenti nella città troviamo porti e aeroporti che circa ogni anno scambiano armi. Questo fenomeno si può notare dai nuovi tipi di armi in circolazione. Ci sono anche mercati di armi dove queste si possono provare “come i vestiti”.
L’ultima domanda posta a Khalifa è: ”come hai fatto a fare le tue riprese in una città in cui il clima è così ostile?”La risposta del regista è ironica: “Ho un buon angelo custode”. Tornando serio ha continuato dicendo che ora l’aggressività maggiore è verso tutti i media e i giornalisti. In conclusione ha aggiunto che avrebbe limitato le sue registrazioni a causa del clima sopra citato.

Anna Di Garbo e Francesca Menegatti