Europa a 16 anni
I confini politici e culturali dei paesi europei sono i solchi e gli strappi di un continente dalla pelle antica. Ci si può leggere una storia fatta di graffi, rughe e cicatrici, e di persone che l’hanno indurita passandoci in mezzo. Alcune linee si cancellano, altre – più profonde – non potranno mai farlo. Relazioni, dolori, confini. Nel bene e nel male.
L’Europa è prima di tutto la messa in scena di un desiderio, il tentativo di dare vita a un progetto comune. Tra conferenze stampa, comunicati, summit, e dichiarazioni, ogni giorno i giornali e le televisioni di tutto il mondo forniscono parole a quella rappresentazione. E nel bene o nel male, qualsiasi cosa succeda, the show must go on.
Della lumaca due cose sono leggendarie: la lentezza e il mondo che si porta sopra la schiena. Se la velocità è il paradigma del presente, a volte andare piano è una scelta obbligata. Ciascuno (individuo, paese) porta faticosamente dentro l’Europa un bagaglio di oggetti, di lingue, di culture. E lascia traccia del proprio passaggio…
Del circo si ricordano gli animali e i tendoni, soprattutto. La coazione a spostarsi per famiglie, il tentativo ogni volta di ricostruirsi una vita in un luogo: la stessa vita di fronte a facce diverse. L’Europa di oggi racconta, attraverso la semplificazione doganale, questo inesausto spostarsi di uomini e merci: tendoni, panni stesi e facce mai viste.
Del Vecchio Continente si elogia da sempre la solidità, l’essere tradizione e fondamento, prima di tutto. Il continente che è, di cui tutti invidiano l’immutabilità. Eppure oggi parlare d’Europa significa prima di tutto parlare di migliaia di persone che si spostano da un posto ad un altro. Uccelli migratori, lavoratori, disperati in cerca di salvezza, vacanzieri low cost, inquieti del Nuovo Millennio.
I pezzi del tangram sono come le nazioni europee: diversi per forma e grandezza. Unendo questi tasselli sconnessi si può imitare la sagoma di una ballerina, di un coniglio e di una casa. Oppure creare dei mostri. C’è di mezzo il Caso che ci infuria sopra la testa. Ma c’è anche la Scelta: di uomini e donne che dicono da che parte vogliono stare.
Spesso non hanno un nome, neanche una voce distinguibile dal borbottio. Ma sono malesseri, attriti che, come brace, scaldano le strade e le piazze d’Europa. Alcuni poi esplodono, all’improvviso, come gli incendi estivi. Dietro c’è la Storia, rancori sopiti, casi rimasti insoluti, ordigni che ticchettano ancora. Fermarsi ad ascoltare il crepitio ci fa capire cosa stiamo lasciando diventare cenere, e cosa brucerà domani.
Ci sono momenti in cui sapere di potersi fermare, anche se il viaggio non è ancora finito, è fondamentale. Gettare l’àncora, sostare. Non sempre le àncore sono luoghi: a volte sono cose preziose, tesori fatti di libri, di conoscenze, di persone. L’Europa è fatta anche di questo, di valigie piene di libri che ci fanno star fermi a pensare.
Alla seduzione della calamita non si sfugge. Il magnete chiama a sé e le limature di ferro accorrono. Recalcitranti o entusiaste, volenti o nolenti, è lì che la natura le dirige. Sono campi di forze, tensioni tra poteri. Ci sono paesi più magnetici di altri – la Germania, il nord Europa – e cittadini che, semplicemente attratti, si mettono in viaggio.
Luciano Canfora (Bari, 1942) è storico e filologo. Ordinario di Filologia greca e latina presso l’Università di Bari, è coordinatore scientifico della Scuola Superiore di Studi storici di San Marino. Dirige la rivista Quaderni di Storia. Nel 1999 si candidò alle Europee con i Comunisti Italiani. Collaboratore di Rai Storia, tra le sue ultime opere ricordiamo: Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno, 2012),Intervista sul potere (Laterza, 2013), La guerra civile ateniese(Rizzoli, 2013). E’ editorialista del