Cattive ragazze è una graphic novel edita dalla Casa Editrice Sinnos, dedicata ai lettori dagli 11 anni in su e vincitrice del prestigioso Premio Andersen. Racconta le storie di donne speciali e «ribelli» come Marie Curie o Miriam Makeba. Usa un carattere tipografico particolarmente indicato anche per i dislessici o chi ha problemi di lettura. Cattive ragazze diventa anche il motore di un progetto teatrale, educativo e di ricerca sul tema delle differenze di genere, creato e a cura di Giulia Musumeci, Associazione KindOf. Per saperne di più visita la pagina dedicata al progettoAdotta uno scrittore sostiene il progetto portando nella Casa di reclusione “Rodolfo Morandi”di Saluzzo (Cn) l’editore della Casa editrice Sinnos Della Passarelli, che si è confrontato con gli studenti di tre classi del Liceo Artistico Soleri-Bertoni: due istituiti presso la casa di reclusione (nella sezione Alta Sicurezza e nella sezione Penale) e una dei corsi ordinari del liceo saluzzese.  La particolarità di questo progetto è che gli alunni della classe esterna hanno lavorato insieme ai compagni della classe istituita nella sezione Penale. Gli autori della graphic novel Assia Petricelli e Sergio Riccardi sono stati invece adottati  invece adottati da tre classi delle scuole superiori di Savigliano. In questo questo articolo e in quelli cui vi rimandiamo al findo del pezzo trovate i materiali prodotti in questa adozione davvero speciale. Ringraziamo, per averceli mandati, l’infaticabile professoressa Rossella Scotta

Nellie Bly

Cattive Ragazze: Nellie Bly

di Michele Laraspata, studente ristretto del carcere  Morandi di Saluzzo

classe I D/C Liceo Artistico Soleri-Bertoni

 

Leggendo Cattive ragazze mi sono innamorato di Nellie Bly: era veramente terribile, una forza della natura. Più che una cattiva ragazza era proprio una ragazzaccia: ci sarei andato veramente d’accordo. È stata una dei migliori cronisti di tutti i tempi e credeva che, solo cercando la verità, si potevano spingere le persone a cambiare il mondo. Un’avventuriera senza paura: nelle trincee per raccontare la guerra, nelle fabbriche dei padroni per testimoniare le battaglie operaie, nelle strade per raccontare la prostituzione. Ha fatto il giro del mondo per sfidare l’idea che una donna poteva fare “cose da uomini” e non doveva limitarsi a scrivere di fiori e cappellini. Ha raccontato la realtà dei manicomi femminili e della vita dei carcerati… questa sarebbe stata la nostra storia. Se è stata capace di fingersi malata per farsi internare in manicomio e poter realizzare l’inchiesta, sopportare il cibo, le secchiate d’acqua gelida e le feroci torture da parte degli infermieri, sono sicuro che non avrebbe avuto nessun problema a fingersi uomo, farsi arrestare e venirmi a trovare qui dove sono, in carcere. Sarebbe stata veramente una “bella storia”…

… in verità tutto questo l’ho sognato la notte scorsa, dopo avere letto Cattive ragazze… ricordo perfettamente… sono solo nella mia cella, guardo le foto appese al muro, tutto è spento, tutto tace, quando ad un tratto sento dei passi, un tintinnio metallico: mi si presenta un secondino con un carcerato di fianco, “hai compagnia”… penso: ho finito di stare tranquillo, il secondino: “ti devo mettere un detenuto in cella, non ci sono altri posti” e apri la porta!… se mi dai le chiavi lo faccio io… però poi le  butto nel cesso… non la chiudi più ‘sta porta…

sbam! La porta si chiude dietro al nuovo venuto.

×        Ciao, accomodati sullo sgabello che ti preparo un caffè… ti vedo un po’ pallido, e con questa barba mi sembri Babbo Natale, ma che hai? Ti vedo un po’ tremante… comunque io sono Michele, di Bari… un bellissimo posto sai…

×        Grazie, prendo volentieri un caffè, sono un po’ stanco… il mio nome è Nello, sono di New York. Ah, sei americano… non ho mai conosciuto un americano, ma da dove arrivi? Da fuori o da un altro carcere?

×        Vengo da fuori, mi hanno arrestato questa notte.

×        Questa notte?!… mamma mia… allora sei stravolto… è la prima volta che entri?

×        Sì, è la prima volta, e non vedevo l’ora…

×        Ma allora sei matto, non americano!

×        Guarda, adesso bevo il caffè, poi mi butto sulla branda a riposarmi un poco… e poi ti racconto.

A questo punto il sogno diventa nebbia, ricordo solo uno stato d’ansia che precede il risveglio di N.B.

×        Non mi sono veramente riposato e ora posso spiegarti meglio ciò che volevo dirti prima.

×        Caro Nello, è meglio che ti affretti a spiegarmi perché sto innervosendomi parecchio…

×        Io sono giornalista, entrato in incognito, per una spettacolare inchiesta: far conoscere la verità di questa realtà, mi sono fatto arrestare con delle accuse false e la verità non tarderò a scoprirla, ma nel frattempo potrò fare un gran lavoro e spero che tu mi possa aiutare.

×        Tu sei matto veramente e mi viene voglia di prenderti per il collo…

×        Mi dispiace che tu mi  prenda per matto…

×        Non credo a una parola di quello che dici, sono situazioni impossibili!

×        E se ti dicessi che sono una donna?

×        Sei Babba Natale, con quella barba sporca di venti centimetri!

×        Guarda cosa c’è sotto la barba…

×        Ma… ma… tu sei un angelo… un angelo del cielo.

×        No, non sono un angelo, ma una giornalista moderna!

×        Ma io sono emozionato, vorrei poterti baciare, sei così bella…

×        Attento! Ho fatto la guerra e sono stata in trincea… so come difendermi dagli attacchi. Non ci provare!

 

A questo punto il sogno è svanito e, svegliatomi del tutto, mi son ritrovato solo soletto nella mia angusta celletta e più infelice che mai.

Silvia Bernardini

Silvia Bernardini, cattiva ragazza

di Giorgio Salvatore Loccisano, studente ristretto nel carcere Morandi di Saluzzo – classe III D/C Liceo Artistico Soleri-Bertoni

Nell’immaginario collettivo cataloghiamo come “cattive ragazze” le donne che rompono con gli schemi costituiti da regole e consuetudini vigenti in una determinata società.                                                                                                               Nella nostra società contemporanea identifico in cattiva ragazza Silvia Bernardini, attuale segretaria del Partito Radicale.   

 Questa donna, da sempre, partecipa come “apripista” a tutte le battaglie volte al cambiamento di usi, costumi, consuetudini e norme che non si adattano più all’evoluzione della società: distinguendosi sempre per il suo impegno politico non violento e anticonformista nella difesa dei diritti di minoranze ed emarginati ed interpretando il ruolo politico nel senso più nobile del termine.  

Di lotte condivise o promosse da Silvia nel campo civile sui diritti e sulle conquiste di Libertà e Giustizia si potrebbe discutere oltre questo testo… pertanto ne sintetizzerò solo alcune, dalle più retrodatate alle più recenti:

–       le “vecchie” lotte come l’aborto, oggi legale, che provocava tante morti per emorragie e infezioni quando si praticava in modo clandestino, oppure costringeva a portare a termine anche maternità problematiche o non volute…

–       il divorzio, che costringeva a vivere una vita da infelice accanto a una persona che non si amava più o, in caso di separazione, impediva di rifarsi una vita con la persona amata e di legittimare la nuova unione ed eventuali figli sopraggiunti; 

–       la campagna a favore della ricerca scientifica sulle cellule staminali, utile per la cura di tante malattie gravi, anche neurodegenerative;  

–       quella sulle varie fecondazioni assistite, per dare la possibilità di essere genitori a chi ha  problemi a divenirlo, permettendogli di realizzarsi attraverso la gioia dei figli, di dare un senso alla vita, alla sua continuità e al breve passaggio in questo mondo;

–       quella sull’eutanasia, per dare il diritto a una morte dignitosa e consapevole;

–       quella contro le mutilazioni genitali, che culture arcaiche praticano anche in società avanzate in cui sono emigrate, relegando la donna al mero ruolo di “fattrice di genere umano” completamente sottomessa;

–       quella sulle parità di genere e sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, che Rita ha sempre portato avanti e difeso in modo strenuo per affermare i diritti delle donne, degli omosessuali, delle lesbiche, dei transgender etc.;  

–       quella per l’abolizione della pena di morte condotta dall’associazione “Nessuno tocchi Caino”, che ha consentito la calendarizzazione alle Nazione Unite per la moratoria;                                                                                 

–       quella per la costituzione del Tribunale Internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità con sede all’Aja;     

–       quelle per la Giustizia Giusta, la separazione delle carriere, la responsabilità civile dei magistrati, la condizione delle persone detenute…

… sono temi che Rita affronta nel quotidiano su tutti i fronti. E se la Corte Europea, più volte, si è pronunciata contro l’Italia per violazione della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo sollevando il problema delle persone detenute, lei é stata una dei maggiori artefici nel fare emergere il problema.

Il gesto che però trovo più indicativo da “cattiva ragazza ” è quello di anni addietro: aver ceduto dello stupefacente in modo provocatorio, facendosi arrestare e condannare con altri per sollevare il problema del proibizionismo in relazione alle conseguenze devastanti che produce sulla giustizia, sulle carceri e sulla collettività, per gli alti costi della repressione della cannabis. Forse con questo suo atto coraggioso Silvia ci ha aiutati a riflettere che ogni battaglia proibizionista è persa in partenza, poiché getta il seme per la fioritura del pensiero illegale, che poi si esporta in altri ambiti e va a fertilizzare la diffusione dei reati e della criminalità, la quale a sua volta trae altissimo profitto proprio dal proibizionismo di tutte le droghe.

Questo gesto, di alto valore civile, è costato a questa straordinaria “cattiva ragazza” della nostra contemporaneità un grave pregiudizio penale, che l’ha estromessa dalle consultazioni elettorali impedendone la candidatura. Da parlamentare aveva fatto lo sciopero della fame per chiedere la trasparenza sulla gestione di beni e servizi delle Camere, facendo mettere in rete tutte le voci di spesa; così come si è battuta per quelle della pubblica amministrazione.

 A tutt’oggi Silvia sta attuando uno sciopero della fame per sensibilizzare la politica e la magistratura sulla mancata applicazione della nuova/vecchia normativa sugli stupefacenti, reintrodotta dopo che la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge “Fini- Giovanardi,” poiché, a distanza di oltre un anno dalla sentenza, ci sono ancora moltissimi detenuti in carcere cui non è stata ricalcolata la pena in senso pro reo per essere rimessi in libertà.

 E continua a lottare, in modo “sensibilizzante” per la legalizzazione delle droghe leggere, con la coltivazione e la cessione di marjuana per scopi terapeutici a persone con patologie sintomatiche, da cui possano trarre migliore beneficio dei farmaci tradizionali.

Spesso le sue conquiste hanno – in un primo momento – spaccato la società, poi, col tempo, sono state metabolizzate come una svolta culturale. Anche se poi, nel tempo, quando la società acquisisce e metabolizza il cambiamento culturale e condivide le tematiche, queste sono usate da altri partiti che trovano i tempi maturi per appropriarsi del largo consenso, mentre Silvia è andata sempre avanti,  da sola e da pioniera,  per la conquista di nuova civiltà.  

E’ una autentica cattiva ragazza, che non sa appiattirsi al “pensiero uniformato”.   

Saluzzo,  31 marzo 2015  

Una cattiva ragazza in mezzo alla Camorra

 

Cattiv guaglion: a muglieri e Francusciell

A maestr e italian ma ritt:” pecchè nun scriv

Na storia e na cattiv guaglion?”.

Io a ce pensat a tant guaglion

Ma po me song ritt: “ ma pecchè

Vag cercann tuorn tuorn quand po

A teng rint a casa mie?”.

Mò ve raccont a storia e Filumena.

Filumena quann’er piccirell er

Nu masculill pecchè sa piccicav

Semp cu tutt e guagliunciell.

Quann sa fatt chiù grussicell

Invece e pazzia cu lat criaturell

Iev a truvà o frat rint e “cancell”

Ienn e venen a rint a stì “cancell”

A canusciut a nu guagliuncciell

Ca se chiamav francuciell

Filomena nun sapev chell ca facev Francuciell

E siccom è sembrav nu buon guagliunciell

Pensav ca si so spusav

A ferinev e i rint a sti “cancell”

Però pe so spusà a duvut

cumbatter co frat primm

E ca mentalità e chest “gent” a ropp

Pecchè sta “gent” nun avesser

Mai permess ca un comm a “loro”

Frequent’ann a csa e un e “loro

Se nn’ummurass e na femmen

Cà appartenev a “loro”

Si stà coss succerev

Potev succeder pur ca murev

Filumen quann a capit tutt chest

Sfidann o frat e sta “gent”

A ditt ca er ess ca vulev chest

E ca o Francuciell suoie

Nu c’entrav nient rint a tutt chest

A’mmor e Filumen a vinciut

Contr a mentalità e sta “gent”

Filumen era convint

Ca a ropp spusat a Francuciell

Avess vissut serenament

E nun avess maie vist chiù e cancell

Purtopp stà favola è durat poc

Pecchè a scupert subit cà

Nu avev spusat nu princip

Ma nu “ mostr”

Pecchè Francusciell pur si er

Nu buon guaglion

E nun arragiunav comm a chella “gent”

Aveva fa lo stess e cos “malament”

Filumen nunustant cà avev capit

Cà tutt l’ammor suoie

Nun avev servit a nient

Pecchè aveven vint chella “gent”

Nun se dat pe vinta

E a cercat cu tutt e forz

E cagnà a Francuciell

Ma quann a vist ca pur a spusat

Rint a na ver casa nun ce mai stat

Pecchè Francuciell da pulizia er ricercat

A capit ca tutt e sogn suoie eren franat

Ma nonostant a Francuciell a vint’ann

Rint e cancell è stat imprigionat

Filumen nun a maie abbandunat

Chest nun a fatt pecchè

A mentalità avev cagnat

Ma pecchè a fede avev truvat

Frequenta’nn a chies

A capit ca ammor

Ca a Francuciell avev rat

Cuoll e figl a riversat

Ma a ccussì facent

Si pur a serenità aven truvat

A vita soie avev iettat

Francuciell quann se res cont

Ca assiem a iss puri a Filumen e figl

Avev cundannat e cagnat

Ma tutt chest nun bastat

A cancellà o mal ca a Filumen

E figl avev procurat

Tutt chest nun sa maie perdunat

E pe chesst a raccuntat

A storia e Filumen

E da cattiv guaglion che è stat

Francuciell nun o sap

Si stà poesia ca o cor a dettat

Verrà maie pubblicat

Ma si stà soddisfazion e sarà dat

A Filumen sarà dedicata

Pecchè e vo fa capì a Filumen

Ca nonostant cà nu buon padr

E nu buon marit nun è maie stat

Filumen a vita soie nun a iettat

Pecchè a Francuciell

Copp a retta via a purtat

Cattiva ragazza: Filomena la moglie di Francuciello

La prof di Italiano mi ha detto:” perché non scrivi

la storia di una “cattiva ragazza”?”

Io ho pensato a tante ragazze

…poi mi sono detto: “ma perché

vado cercando fuori quando poi

ce l’ho dentro casa mia?”.

Adesso vi racconto la storia di Filomena.

Filomena, quando era piccolina, era

un maschietto perché litigava

sempre con tutti i ragazzetti del rione.

Quando è diventata una ragazzina,

invece di giocare con altre bambine,

andava a trovare il fratello in carcere.

Andando e venendo dal carcere

conobbe un ragazzo

che si chiama Francuciello.

Filomena non sapeva quello che faceva Francuciello

e, dato che sembrava un bravo ragazzo,

pensava che se lo sarebbe sposato.

Così la finiva di andare dentro al carcere…

Però per sposarlo ha dovuto

combattere con il fratello prima

e con la mentalità di questa “gente” dopo:

perché questa gente non avrebbe

mai permesso che uno come “loro”-

frequentando la casa di uno di “loro”-

s’innamorasse di una donna

che apparteneva a loro…

Se questo accadeva,

poteva succedere pure che “moriva”.

Filomena, quando ha capito tutto questo,

sfidando il fratello e questa gente,

ha detto che era lei che lo voleva

e che il suo Francuciello

non c’entrava nulla in tutto questo.

L’amore di Filomena ha vinto

contro la mentalità di questa gente.

Filomena era convinta

Che, dopo aver sposato Francuciello,

sarebbe vissuta serenamente

e non sarebbe andata mai più dentro ad un carcere.

Purtroppo questa favola è durata poco

perché ha scoperto subito che

non aveva sposato un principe

ma un “mostro”.

Perché Francuciello, anche se era

un bravo ragazzo

e non ragionava come questa gente,

doveva fare lo stesso le cose cattive…

Filomena, nonostante avesse capito

che tutto il suo amore

non era servito a nulla

perché aveva vinto quella gente,

non si è rassegnata

e ha cercato con tutte le sue forze

di cambiare Francuciello.

Ma quando si è resa conto che, pure sposata,

dentro una vera casa non c’era mai stata

perché Francuciello dalla polizia era ricercato,

ha capito che tutti i suoi sogni erano franati.

Ma, anche se Francuciello da vent’anni

in un carcere è stato imprigionato,

Filomena non lo ha mai abbandonato.

Questo non l’ha fatto perché

la sua mentalità aveva cambiata,

ma perché la fede aveva trovata.

Frequentando la chiesa

ha capito che l’amore

che a Francuciello aveva dato

sui suoi figli andava riversato.

Ma così facendo,

se pure la serenità aveva trovata,

la sua vita aveva buttata…

Francuciello, quando si è reso conto

che insieme a lui anche  Filomena e i figli

aveva condannato, è cambiato…

ma tutto questo non è bastato

a cancellare il male che a Filomena

e ai figli aveva procurato.

Tutto questo non se lo è mai perdonato.

E per questo ha raccontato

la storia di Filomena

e della “cattiva ragazza” che è stata.

Francuciello non sa

se questa “poesia” che il cuore gli ha dettato

verrà mai pubblicata,

ma se questa soddisfazione gli venisse data

a Filomena vorrebbe che fosse dedicata.

Perché vuole fare capire a Filomena

che, nonostante un buon padre

ed un buon marito lui non sia mai stato,

lei la sua vita non l’ha buttata,

perché Francuciello

sulla retta via ha portato.

A Filomena da Francuciello – Sez. carceraria  del Liceo Artistico “Soleri-Bertoni” di Saluzzo

Rossella Scotta:la nostra cattiva ragazza

Rossella Scotta:a nost cattiva ragazz
Rossella, a maest e italian

È a nost cattiv ragazz.

Pecchè na vot nonostant

Cà stev rint o liett

Pecchè er seriament malat

Nun sé scurdat e nuie

E cià scritt na letter

Pe ce sta vicini

Comm si fossem stat

Nuie e malat e ess

Chell cà c’avev confortà

Pur si o sapimm già

Cà se didica anim’è corp

Primm a nuie e po’ a scol

Stà cos cè a commoss

E pe chest avimm pensat

Da ricambià cu na poesia

Pecchè a mmericin soie

Nun song e farmaci ma trasmetter

A nuie tutt o saper suoie

E nuie cè a mettimm tutta

Pà assurbi comm na spugna

Tutt chell ca ce rice

A poesia è chest cà:

a “Rossella Scotta”

Rossè, ma tu verament ce vuò fa murì!

Nuie già vivimm rint a na vall e lacrim

Pensann e cos comm songi ut a fernì

Mo te ce miett pur tu cu stà letter tost

Ca pe nuie è stat comm a n’alluvion

Ma l’acqua nun scennev a ciel

A rint a l’uocchie nuost

Ma qual impegn totalizzant vaie truvann?

Tu a pensà sul e stà bon

Pecchè a nuie nun ce serv na malat

Ma nu san capitan iamm truvann

Pecchè, si nò, ai voglie è tenè

O timon ferm e a rott a dritt

Senz o capitan nuost simm scunfitt.

E po’ pe camminà rint a stà vall oscur

Avimm bisogn e na luce fort

E po’ è a fernì e te cumpurtà

Comm a na mamm premuros

Pecchè ce si crisciut san e fort

E pur quann nun ce staie

Ce pensamm nuie e fa verè

A chi ven o post tuoie e a tutt o riest

Cà nun sul “legger è nun disperar maie”

Ma cà simm in grad e saglier

Tutti quant copp e banc è alluccà fort:

<<Capitan nuost-capitan nuost>>

Pecchè grazie a tè sapimm coglier

“L’attim fuggent”.

Rossella Scotta:la nostra cattivaragazza

 

Rossella, la prof. di Italiano,

è la nostra “cattiva ragazza”.

Perché una volta, nonostante

stesse dentro al letto

perché era seriamente malata,

non si è dimenticata di noi

e ci ha scritto una lettera

per starci vicino.

Come se fossimo stati

noi i malati e lei

quella che ci doveva confortare.

Anche se sapevamo già

che si dedica anima e corpo

prima a noi e dopo alla scuola,

questa cosa ci ha commosso

e per questo abbiamo pensato

di ricambiarla con una poesia.

Perché la sua medicina

non sono i farmaci, ma trasmettere

a noi tutti il suo sapere

e noi ce la mettiamo tutta

per assorbire come spugne

tutto quello che ci dice.

La poesia è questa qua:

“A Rossella Scotta”

Rossella, ma tu veramente ci vuoi far morire!

Noi già viviamo dentro ad una valle di lacrime

pensando le cose nostre come sono andate a finire.

Adesso ti ci metti pure tu con questa lettera tosta

che per noi è stata come un’alluvione:

l’acqua però non scendeva dal cielo

ma da dentro i nostri occhi.

Ma quale impegno totalizzante vai trovando?

Tu devi pensare solo a stare bene,

perché a noi non ci serve una malata,

ma un sano capitano vogliamo avere:

il timone fermo e la rotta a dritta.

Senza il nostro capitano siamo sconfitti

e poi per camminare dentro questa valle oscura

abbiamo bisogno di una luce intensa.

E visto che la nostra luce sei tu,

guarisci presto e torna ancora più forte.

E poi la devi finire di comportarti

come una mamma premurosa

perché ci hai cresciuti sani e forti

e pure quando non ci stai

ci pensiamo noi a far vedere

a chi viene al tuo posto ed a tutti gli altri

che non solo “Leggere è non disperare mai”

ma che siamo in grado di salire

tutti quanti sopra i banchi e gridare forte:

<< Capitano, o mio capitano>>

perché grazie a te sappiamo cogliere

“ L’attimo fuggente”.

 

 Alla nostra prof 

Francesco Sorrentino

Sez. carceraria  del Liceo Artistico “Soleri-Bertoni” di Saluzzo

Un solo fiore riflette la luna

Un solo fiore riflette la luna

Dedicato a Malala
Poesia di
Francesco Magrì
 Liceo Artistico Soleri-Bertoni – Saluzzo
 sez. carceraria

Fiore che mai appassisci,
irradiando di profumo
interi giardini.
Volano le cicogne,
disperdendo nell’aria
l’aroma del tuo nettare.

Per anni hai cercato
conforto al dolore
ti avevano rubato
beltà e amore.

Strappata ancora acerba
da profonde radici
per essere oltraggiata
da stupidi nemici.

Piegata non ti hanno cancellando
dal tuo viso
sogni e innocenza.
Chi semina stelle
donando di sé
ha sua la luce
che splende come un faro.
Tanti roseti donano fragranza,
un sole fiore riflette la luna.
Dai tempi del tempo,
esisti da sempre,
hai attraversato oceani e continenti.
Bianca la cima dell’alta montagna,
la tua veste alata
danza chiara nel vento.

Nonna Florinda

UNA CATTIVA RAGAZZA: MIA NONNA FLORINDA
Testo di Matilde Gjondrekaj
Classe I L/ A  Liceo  Linguistico “Soleri-Bertoni” di Saluzzo

La mia nonna si chiama Florinda, il suo nome non credo abbia un significato preciso, ma io penso che potrei dargliela una definizione.

Se ripercorro la sua storia, ciò che mi viene in mente è: donna forte, guerriera, che lotta per tutti e contro tutti affinché il bene trionfi, così che la sua famiglia possa vivere al meglio.

Mia nonna nasce intorno al 1953, in un epoca abbastanza difficile per quanto riguarda il lavoro e l’istruzione.

In famiglia vi erano 5 fratelli e 3 sorelle con i due genitori e i nonni paterni. La vita, purtroppo, non era affatto facile, soprattutto perché lei era donna. Sì, donna.

Purtroppo per problemi economici, nonostante amasse la scuola, non poteva permettersela.

All’età di appena 10 anni già lavorava nei campi, dopo essere stata costretta ad abbandonare l’istruzione. L’aiuto da parte sua, e non solo, era indispensabile in famiglia.

Ricordo quando facevo i compiti di matematica e lei si offriva di aiutarmi, ma non sapeva farle le espressioni, e spesso si sentiva a disagio per questo. Io le ripetevo sempre -e tutt’ora lo faccio- di non preoccuparsi, le epoche sono differenti e io non sono affatto il tipo di persona che giudica, la nonna poi… non mi permetterei nemmeno!

Era solita raccontare storie, storie che rispecchiavano la sua vita, storie difficili, di una vita dura, spesso colme di tristezza, con una piccola sfumatura di sorrisi e di felicità. Un giorno iniziò la sua storia:

Avevo dieci anni quando i miei genitori, dopo averne parlato a lungo e con grande tristezza, mi annunciarono che io dovevo iniziare a lavorare. Dovevo scegliere: o il matrimonio, che significava togliere un cosiddetto “peso” e una bocca da sfamare ai miei, o rendermi utile con il lavoro: non c’era più tempo per la scuola, nonostante il mio desiderio fosse un altro.

Provavo molto rispetto nei confronti dei miei e non osavo esprimere i miei desideri, non potevo, anche perché i miei 5 fratelli si sarebbero accaniti su di me.

Avendo avuto in sorte una famiglia molto numerosa, anche il lavoro sarebbe stato più intenso.

Anch’io amavo la mia nonna, contavo molto su di lei. Anche se.. era dura con me e le mie sorelle, ci accomunava la nostra natura di donne, e le donne non avevano diritto di esprimere i propri pensieri e/o giudizi. Me ne sono accorta sai? E anche se so che non me lo dici e nemmeno io lo faccio, so che l’amore tra nonna e nipote è inevitabile, è un legame che ci unisce così profondamente dal momento in cui vedi quella piccola luce che c’è in te venire al mondo.

Tornando al punto, dopo molti anni di lavoro, a soli 17 anni tuo nonno, senza che io lo conoscessi, venne a chiedermi in sposa. Aveva quegli occhi di un azzurro profondo, raccontavano tanta malinconia anche da parte sua, ma anche molto rispetto. Non so esattamente cosa accadde in quel momento, ma sapevo che, anche se quell’uomo non mi fosse piaciuto, non potevo oppormi, non era fattibile, non a quei tempi. Ti ricordo che per noi donne… zero diritti!

Mi sposai e, dopo nemmeno un anno, nacque tuo padre.

Oh, non so se mi sono comportata male o cosa, che cosa Dio avesse avuto contro la mia famiglia non lo capisco. Tutte le sciagure avvennero quell’anno. Tuo nonno venne accusato di omicidio, arrestato e portato lontano da me. Lui che lavorava e portava avanti la famiglia. Lui che era l’uomo di casa e che avrebbe badato alla nostra sicurezza. Lui, proprio lui, mi venne portato via. E io, con un bambino ancora neonato e nessuno su cui contare, come potevo fare? Tuo padre per i suoi primi due anni di vita crebbe con suo zio e i suoi nonni.

Di giorno mungevo le mucche in una stalla e in cambio avrei ricevuto latte e cibo per mio figlio. Di notte badavo alle galline in un pollaio, mettendo in pericolo la mia vita perché non venissero rubate, ma almeno guadagnavo soldi e potevo iniziare a riscattare il carcere. Ogni fine settimana andavo da tuo nonno, portavo dietro il mio bambino e gli spiegavo che il luogo in cui stava il suo papà era una casa più sicura per lui, che non stava molto bene; quando si fosse ripreso, sarebbe tornato.

Girovagavano mille pregiudizi. Gente che diceva che quell’uomo ucciso fosse il mio amante e che tuo padre non fosse figlio di tuo nonno.

Il paese mi giudicava infedele, una cattiva moglie e madre. I fratelli di tuo padre si fidavano poco, ma mi rispettavano il dovuto.

Quei 3 o 4 anni senza il nonno sono stati i più strazianti, ma io non ho mollato un attimo, non era giusto tutto ciò. E dovevo farmi forza, senza badare alle voci, fidandomi di mio marito e facendo ciò di cui tutti avevano bisogno.

Tuo nonno uscì, ma ancora non era finita. Sai, a quei tempi il sangue si pagava con il sangue e temevo per la vita di tuo padre e dei suoi fratelli nati in seguito.

Le acque si calmarono, la tempesta si placava lentamente e io iniziavo a essere più tranquilla, ma non potevo fermarmi, dovevo marciare sempre più veloce. Dopo molti anni la felicità più grande fu tua madre che ci portò tre piccole gioie. Tu all’inizio non mi stavi simpatica, eri femmina. Ma io mi ero ripromessa che non avrei fatto come mia nonna, io le donne le avrei amate e ascoltate e capii che le lacrime e la tristezza erano più che sciocche e che tu eri una gioia e mai e poi mai avrei immaginato che saresti diventata una ragazza così comprensiva per me. Un modello tu per me e io per te, perché noi siamo nate per sostenerci. Sei una piccola guerriera come me e non smetterai mai di lottare. Ricordati che ogni cosa è buona se fatta con prudenza e amore, devi solo volerla sul serio. Non fare mai del male, vedrai, sarà più facile per te, dai!  Sii sempre positiva e non perdere mai quel sorriso meraviglioso che hai.

Dopo queste parole, rimasi molto colpita da mia nonna, dalla sua storia e da tutta la forza che  aveva saputo tirar fuori.

Purtroppo, come se tutte le sofferenze della sua vita non fossero bastate… nel 2008 la nonna si sentì poco bene. Iniziò a notare sul suo seno una protuberanza, una specie di pallina. Avendo tre maschi, non osava parlarne e trovò in mia madre la figlia che non aveva. Le confidò il suo timore e immediatamente iniziarono le visite e i controlli medici.

Le era stato diagnosticato un TUMORE al seno. Che colpo.

Lei che aveva lottato per così tanto … veniva ripagata cosi? Sapete cosa?

Trovo che la vita con lei sia stata molto ingiusta: fin da piccola aveva sofferto; appena sposata non poté stare tranquilla un attimo; e proprio mentre una nonna dovrebbe godersi i suoi nipotini e i loro anni migliori, lei era impegnata a combattere una delle sue tante sfide, la più importante però.

Qui si trattava della vita.

Ho visto mia nonna senza capelli, ho visto mia nonna con la flebo, mentre doveva fare la chemio, mentre vomitava, mentre era pallida, soffriva e la imbottivano di medicinali.

Ho visto mia nonna vergognarsi – per la prima volta – di essere donna. Ho visto che era allo stremo delle sue forze, ho constatato che aveva bisogno di aiuto, e io, piccola com’ero, come potevo aiutarla?  La mia nonna, che era la donna più forte del mondo, quella che mi sosteneva, che mi capiva e appagava le mie curiosità, aveva bisogno di me. Forse un adulto non può fare molto… ma vi assicuro che la dolcezza, la spensieratezza, la positività dei bambini cambia il modo di vedere la vita. Mia nonna si riprese, apparentemente. Moralmente è distrutta, ancora ora, a distanza di 7 anni. Quella cicatrice, quei ricordi le portano alla mente troppe cose. Ora lei soffre di depressione, la vedo spesso piangere, crolla davanti ai miei occhi, non ce la fa più. Ha subito molto e forse troppo, troppo da sopportare per una sola persona. Quando la sento parlare da sola, mi siedo e le dico “nonna, vieni, siediti. Ci sono io. Stai tranquilla, parlami, io ti ascolto”. Lei viene, appoggia la sua testa sulla mia spalla, l’abbraccio e piange. Io con lei, non posso farne a meno. La vedo soffrire e soffro anch’io, in silenzio, perché i nostri occhi si dicono tutto. Ora mi ritrovo ad essere un punto di riferimento per lei: per i miei sorrisi, il mio ottimismo e la forza di vivere. E sono onorata di esserlo, perché questa donna  mi ha insegnato a vivere. Fiera della mia piccola ma grande guerriera. Fiera di mia nonna.

Una cattiva ragazza di mia conoscenza

UNA CATTIVA RAGAZZA DI MIA CONOSCENZA

di Nunzio Mandalari, studente ristretto del Morandi di Saluzzo

classe III D/C Liceo Artistico Soleri-Bertoni

 

Nel comporre la scrittura creativa ho trovato ispirazione dall’opera teatrale “Casa di bambola” di Henrik Ibsen.

La Nora di Ibsen è una moglie, una mamma, che vive il suo dramma per avere agito secondo coscienza, che matura, pur vivendo nel silenzio e nel buio della sua solitudine di moglie e di donna. Il dramma risale al 1878, ma ci fa vivere in prima persona il problema del ruolo della donna emarginata da una società preoccupata soltanto della salvaguardia dei privilegi del maschio. Figura ricoperta dal marito di Nora, avvocato Helmer Torvald.

Siamo nella primavera del 1980, sera del 25 aprile. Vedo Nora per la prima volta. Una “bambola”: alta, lunghi capelli neri, jeans arrotolati al polpaccio sopra ai neri stivali.  A quella vista rimango affascinato. Tra noi nasce una bella amicizia, una simpatia; ci frequentiamo e, dopo qualche tempo, scopriamo in noi un sentimento di amore.

La sua è una famiglia molto modesta, composta da madre e tre figlie; il padre è scomparso già da qualche anno. Occupano due piccoli locali, con bagno esterno in comunione con altri inquilini. Il mio primo regalo è un aiuto economico, alla partenza della sua vacanza estiva.

Stiamo bene insieme, mi sembra di rinascere, ritrovo me stesso, dopo una precedente delusione amorosa che mi ha lasciato il segno. Con lei mi sento  felice: è simpatica, è sorridente, ama la vita.

Il suo fisico fragile è soggetto a continue influenze: scherzando la chiamo “mutua”. Adoro Nora: ha diciannove anni, io ne ho quasi ventiquattro. Ci vediamo tutte le sere, la riempio di attenzioni. Gli amici la lodano per la sua bellezza ed il suo modo di essere, io ne vado fiero: è la mia “bambola”, Helmer direbbe “la mia lodoletta” ,“il mio lucherino”…

Per hobby possiedo un cavallo: nelle belle giornate di domenica lo attacco al calesse, raggiungo Nora e la invito a un’uscita insolita.

La mia posizione economica mi consente di vivere in modo agiato. Lei, che è piena di dignità, non chiede mai niente, ma ormai è entrata a far parte della mia bolla scudo ed io sono contento di darle tutta la mia protezione. Nel frattempo Nora trova la sua prima occupazione, presso una solida azienda locale.

Andiamo molto d’accordo, ci vogliamo un gran bene, dopo tre anni diventa mia moglie.

Il nostro primo nido è una casa di tre locali, già di mia proprietà. Nel dicembre 1984 nasce la nostra prima figlia, una bella bambina con occhi azzurri e capelli biondi: Marcella, il nome di mia madre.

Sono anni felici, pieni di intenso amore e di rispetto, viviamo del nostro onesto lavoro in un sereno benessere. Per una sua scelta, lei non abbandona mai il suo impiego, che assolve con massima serietà. Ottima scelta! Nora è una donna determinata ed intelligente, economa e responsabile. Io, il suo contrario, un gran lavoratore forse un po’ troppo spendaccione … sempre pronto a sorprenderla con costosi regali. Fra le nostre grandi soddisfazioni c’è l’acquisto di uno spazioso rustico, nel centro storico del luogo dove viviamo, che trasformiamo facendolo diventare la nostra nuova casa. Mi rende felice lasciare a lei, alla mia “lodoletta”, la ristrutturazione dei locali e l’arredamento, che si rivelano di ottimo gusto.

Nora, nel gennaio del1995, mette alla luce il nostro secondo figlio. E’ un bel maschietto con grandi occhi scuri e tanti capelli neri, che le somiglia molto. Gli diamo il nome di Giuseppe, rinnovando quello di mio padre, morto nel 1993.

La mia vita è un sovraccarico di impegni dovuti al mio lavoro di imprenditore edile, ai suoi guadagni ed investimenti: esco al mattino molto presto e la sera mi fermo in ufficio fino a tardi. Mi capita spesso di non essere a tavola con Nora ed i miei figli. Quando ho problemi, commetto il grande errore di non lasciarli fuori dalla porta di casa.

Nora è una santa nel sopportarmi: mi ascolta, mi consiglia, mi consola. Spesso m rendo estraneo alla mia famiglia, reagisco in modo brusco pur non essendo mai stato un violento, mi comporto in modo egoista badando solo al mio lavoro, ai miei affari, a me stesso. Assente o poco presente e disponibile di fronte ai problemi di casa, ad ascoltarla, ad offrirle il mio aiuto quando ne ha bisogno, a consolarla e a starle vicino quando sta male.

A volte vengo meno ai miei doveri di padre e di marito. Sto rovinando qualcosa che è stato meraviglioso.

La situazione mi sfugge di mano e, di leggerezza in leggerezza, continuo a commettere errori, trascurando e perdendo la stima dei miei cari, dei miei fratelli, di mia madre.

Tra noi ormai non c è più dialogo.

Nel mese di giugno 2003, finita la scuola dei nostri figli, Nora con gelida determinazione mi annuncia la sua partenza da casa. Inutili le mie ridicole frasi di sgomento impacciato. Lei non mi ascolta più…

La mia Nora, non riconoscendo più come suo quel mondo arcaico fatto di attese, di silenzio sottomesso e di cultura maschilista per lei superata, nonostante il dolore di dover disgregare il suo nucleo familiare, sceglie la libertà di donna che ormai ha raggiunto la consapevolezza …

Aprendo la porta di casa, esce assieme ai nostri figli. A concludere il dramma non resta che il colpo della porta che si chiude, lasciandomi solo a piangere sulla mia totale stupidità. E’ la porta della casa dei nostri sogni, a cui Nora rinuncia rifiutando di tenerla per sè.

Una lezione che mi segna la vita.

Vendo quella casa. Bella grande, elogiata ed invidiata … ma tanto, tanto vuota.

Per me sono anni di profonda solitudine e sofferenza: cerco disperatamente Nora, ma non la ritrovo, le ho fatto troppo male.

Nel 2007 io e Nora divorziamo.

Dopo un lungo periodo di depressione cerco di rivedermi in meglio, riconosco a mia volta di essere stato vittima di una cultura sbagliata, io che nella compagna di vita vedevo una madre, ma soprattutto una “ donna di casa “ destinata ad attendermi e ad assolvermi sempre.

Ora penso di aver capito.

Da cinque anni, da quando le porte del carcere si sono chiuse alle mie spalle, non vedevo Nora.

Sabato 14 marzo lei e i miei figli sono venuti a trovarmi. Abbiamo parlato, mi ha guardato e mi ha sorriso. Mi ha salutato con un caloroso abbraccio.

Spero che torni.

Indossava jeans e stivali neri.

Ha cinquantaquattro anni ed è bella come allora.

Si riaprirà quella porta per Torvald?

 Lui non desidera altro.

Dall'altra parte del muro

Cattive Ragazze DALL’ALTRA PARTE DEL MURO

Dal carcere Morandi di Saluzzo:                                            

il punto di vista degli studenti ristretti del Liceo Artistico Soleri Bertoni

a cura di Andrea Giovo, classe III D/C

 

I tre giorni di lavoro, intensi e faticosi, con gli studenti esterni della classe I Linguistico della nostra stessa Scuola, hanno riportato a galla la necessità dell’assunzione di atteggiamenti di responsabilità in noi persone ristrette.

Il confronto con questi ragazzi ci ha commosso (insieme con la storia della nonna di Matilde).

In un mondo come il nostro, pieno di muri fisici, ma soprattutto mentali, incontrarsi con degli adolescenti non ancora contaminati dall’ipocrisia del mondo, per i qual potremmo usare tranquillamente la parola “innocenti”, ha risvegliato in noi quella speranza, quella proiezione al futuro che spesso non si vede, se non sfumata, nel nostro mondo grigio.

Un momento di colore, dai toni ancora acerbi, può illuminare una strada lunga, faticosa e spesso incerta.

Confrontarsi tra individui cosi diversi, per età ed esperienze di vita, ci ha permesso di rompere alcune barriere, che forse per qualcuno di noi non potevano neppure essere sfiorate.

Partendo da un modello di cattiva ragazza esemplare come Claude Chaun, personaggio scomodo per la sua diversità a tutto tondo, che ancora oggi può provocare sentimenti contrastanti, abbiamo provato tutti insieme la nostra “tenuta” a quei valori che dovrebbero essere fondanti della nostra futura società ideale, in particolar modo l’accettazione dell’individuo qual è, e non come lo vorrebbe il pensiero dominante.

Abbiamo poi “pensate” tante altre donne, tra loro diversissime, che hanno scelto la ribellione come atto di affermazione, da Angela Davis, l’attivista nera vicina al movimento Black Panthers, a Franca Viola, una donna anzi una ragazza, che con il suo esempio di coraggio ha saputo ribellarsi a leggi arcaiche, provocando l’indignazione della società del tempo e successivamente una revisione del Codice Penale.

Marie Curie ci è sembrata capace di imporsi non solo come scienziata, e quindi come rivendicazione di parità di genere, ma anche come emblema di sensibilità intellettuale ed etica.

Non abbiamo risparmiato neppure quelle donne che si rassegnano alla sottomissione in maniera ambigua, per garantirsi un “controllo” sugli uomini, nonostante questo significhi sacrificare parte di se stesse e le proprie autenticità.

Alla fine abbiamo concluso che è assurdo parlare di donne come di “una categoria a parte”, trovandoci d’accordo nel rifiutare di considerare la diseguaglianza e la discriminazione come questioni troppo grandi da affrontare.

Tutta questa discussione, vissuta in una burrasca di emozioni, sentita con vivace passione dai due gruppi, ha prodotto parole potenti, che, come ha ricordato l’editrice Della Passarelli, lasceranno segni capaci di generare persone, individui, futuri cittadini pronti a comprendere la vita, dando un senso compiuto a quello che è il primo compito della scuola pubblica.

Noi ristretti rimaniamo con la sensazione che avremmo potuto dare di più, non essere cioè solo dei compagni di liceo “un po’ diversi”, ma magari “maestri per un giorno”, disposti a metterci in gioco per mostrare dove non bisogna finire … d’altronde chi meglio di noi può parlare di dis-pari opportunità, di devianza, di scelte sbagliate, che cominciano da lontano e che dovrebbero pur insegnare qualcosa a chi ha davanti la vita.

Tutto questo in un contesto di scambio di esperienze semplice e naturale, non appesantito dalla retorica di un sistema carcerario “rieducativo”, che semplicemente non esiste, in cui non si agisce perché il male non si ripeta, ma mettendo invece in pratica una celata vendetta che ha come unico risultato  quello di perpetuare il male all’infinito.

                                                                                 Andrea Giovo