Un gioco di luci ed ombre crea un insieme di visioni diverse che suscitano, fin da subito,  negli spettatori sensazioni di ansia, angoscia e inquietudine.

Il penultimo evento  del Festival Dedica al convento di  San Francesco,  ha per  protagonista la redattrice di  Bompiani, Elisabetta Sgarbi, autrice anche del lungometraggio: “Notte senza fine”.

La regista è in sala ad accogliere i presenti, intervistata dalla curatrice di dedica, prof. Manfredelli, confessa di aver trasferito nella realizzazione cinematografica di questi tre racconti di Tahar Ben Jelloun, Hamin Maalouf e Hanif Kureishi, le sue emozioni, sentimenti, esperienze di vita.

Gli attori che hanno prestato voci e volti al suo esperimento, sono anche suoi grandi  amici,  e hanno affrontato difficoltà  fisiche e professionali  notevoli data la sua scelta di girare un film privo di “diavolerie tecnologiche”; è infatti girato in pellicola e costituito da piani sequenza dalla durata di una bobina, circa 12 minuti, agli attori era data una sola possibilità di errore col rischio di ripetere altrimenti l’intero piano sequenza. Gli attori hanno dovuto quindi raggiungere un livello eccezionale di concentrazione di immedesimazione. Si tratta, in ogni caso di attori di primissimo livello: Toni Servillo (vincitore dell’ Oscar 2014, con il film di Sorrentino) e le intense figure femminili di Laura Morante, Anna Bonaiuto e Galatea Ranzi (anche lei nel cast di Sorrentino).

“Un esperimento di cinema/letteratura” , così era stato a suo tempo definito da Toni Servillo.

Tre episodi diversi, con un filo conduttore,  l’amore, declinato in diverse sfumature:   il tradimento, la follia, la gelosia, la violenza, l’incesto.

L’elemento dominante del film è la notte, il buio, rotto talora dal transito della luna, piuttosto che da un fascio di luce, ma soprattutto da volti che affiorano, occupano sfocati primi piani e si dileguano nelle tenebre.

I luoghi prestigiosi che fanno da sfondo alle storie: Castello Maniace di Ortigia a Siracusa, la Villa Palladiana Badoer a Fratta Polesine e la cava di Morlungo a Carrara, si intravvedono appena, salvo, nel finale, il ritorno ossessivo della cava con i suoi macigni e le sue voragini a fare da contrappunto al dramma della terza vicenda, lo scontro-incontro di Jane e Cecil (un’intensa Anna Bonaiuto) , figlia e padre, uniti dal terribile segreto di un rapporto incestuoso.

Il primo dei tre racconti, forse il più buio. A schermate completamente nere si succedono primi piani del volto di Galatea Ranzi nel ruolo di una principessa orientale incantata  della poesia d’amore di un menestrello lontano che non ha mai incontrato.

Un lungo monologo a cavallo tra reading teatrale ed esperimento audiovisivo, che forse, come ha insinuato con un pizzico di autoironia la regista stessa, solo un pubblico fortemente motivato può reggere fino alla fine. Infatti ombre furtive hanno da subito cominciato ad abbandonare la sala. Peccato!

Il secondo episodio, dal racconto “La fatalità della bellezza”, firmato T. B. Jelloun , un sorprendente doppio monologo di Toni Servillo e Laura Morante, con un pizzico di suspance ha resuscitato la platea.

Lui, il marito, sospetta un tradimento della moglie, ossessionato da un sogno ricorrente che lo conduce quasi alla follia. Lei, la moglie, vittima innocente dei sospetti, entra nei sogni del marito a scoprire che il vero infedele è lui, in un ambiguo gioco di realtà e illusioni, con un finale che lascia aperte inquietanti ipotesi.

A chiusura di serata, ci ritroviamo fuori teatro, con un bicchiere in mano  a fare due chiacchiere tra amici e riflettiamo che, se il cinema è da considerarsi uno strumento di comunicazione prevalentemente di immagini, questo esperimento non è riuscito. Oppure bisogna rivalutare la lettura attraverso l’idea della “parola vista”.

Agnolin Alberto, Cozzarini Chiara, Maluta Alberto, Pivetta Silvia Liceo Grigoletti di Pordenone